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Viaggio a Mombello, parlano reduci e partigiani

‘‘Papà non ha mai raccontato del periodo in cui era in guerra; alla nostra curiosità, soleva rispondere: «Speröma ch’al sia sërvì a quaicòs», (speriamo che sia servito a qualcosa). Solo poco tempo fa, a distanza di dieci anni dalla sua morte, abbiamo avuto il coraggio di aprire il bauletto con cui era ritornato a casa alla fine del 1946 dal campo di prigionia inglese in Egitto”. Questa la testimonianza di Lucia, Bruno e Vittorio Allara di Mombello Monferrato, che ricordano il padre Emilio (1921-1988), prigioniero di guerra, in una bella pagina del volume di Massimo Balbi intitolato “Mombello Monferrato. Storia di un paese e dei suoi figli”, appena pubblicato dal Artigrafiche Jolly (Crescentino, 2011). E poco dopo essi aggiungono: “In quella piccola valigetta, di cui non ha mai voluto mostrarci il contenuto, erano racchiusi i ricordi di tre anni di prigionia. A volte alla sera, quando noi eravamo a dormire, l’apriva, e stava per ore a osservare quei piccoli beni che lo avevano aiutato a sopravvivere: la tabacchiera con ancora un pizzico di tabacco, le lamette, il pennello per la barba, un pezzo di sapone nel suo contenitore, una piccola trottola in legno, un sacchetto contenente alcune biglie di terra cotta, e poi le lettere scritte dai suoi famigliari e il diario che quasi giornalmente compilava con brevi appunti e con poesie e canzoni che lui stesso componeva. Nel leggere queste note, dalle quali trapelano tutta la durezza della condizione di prigioniero, riusciamo a capire perché papà non ha mai voluto farci partecipi delle paure e tribolazioni vissute e patite in quel brutto periodo”. Particolarmente interessante il diario che Emilio Allara compilava ogni giorno sulle pagine di un bloc-notes con il logo Air Mail, raccontando le vicissitudini della sua prigionia in Africa, dopo la sconfitta nella battaglia di El Alamein. Il racconto inizia l’8 giugno 1945, quando dopo due anni trascorsi nel campo di concentramento 313 in Libia, arriva l’inatteso l’ordine di partenza in treno per l’Egitto. Raggiunto il canale di Suez, il viaggio prosegue verso la Terra Santa, per poi tornare, alla fine del mese di luglio dell’anno successivo, ad Alessandria d’Egitto e finalmente rientrare in Italia, come ricorda nelle ultime righe del diario. “Sabato 20 luglio 1946. Alle ore 4 del mattino partenza dal campo 380 per la stazione ferroviaria di Suez, direzione Alessandria dove giungo alle 16. Imbarco alle ore 18 e partenza alle 19:30; ROTTA VERSO L’ITALIA. Se tutto va bene in quattro, cinque giorno sarò a Napoli. Il mare è calmo, impiego 56 ore per giungere alla meta. Posso rimettermi in borghese, buttar via questi vestiti militari, ormai sono stufo di portarli, stufo di tanti anni di sofferenza, stufo di vivere come una bestia. Voglio vivere da persona civile, recuperare gli anni della mia gioventù perduta. VOGLIO VIVERE DA ESSERE UMANO!”. Insomma una fonte storica assai importante per non dimenticare tutti coloro che, lasciando la loro famiglia e la piccola comunità di origine, hanno combattuto per la Patria. Una testimonianza che consente di entrare nella vita privata del soldato, cogliendone i sentimenti e le emozioni di quei lontani giorni di prigionia. È come entrare nella camera segreta dei suoi pensieri che, pur presentando un punto di vista soggettivo, ma sincero, ci ha consegnato una bella microstoria personale che riflette la grande storia, anche se era ben lungi dall’immaginare che un giorno le sue parole potessero diventare di pubblico dominio. IL RACCONTO DEI REDUCI E DEI LORO FAMILIARI Siamo a caccia di memorie prima che si estinguano. Al Comune di Mombello ci attende Massimo Balbi, autore del pregevole “Mombello Monferrato storia di un paese e dei suoi figli’’, ci indica nella sala consiliare una grande foto dei caduti per la Patria. Proprio da questa immagine nasce l’idea di cercare i reduci ancora in vita e i loro familiari affinchè il loro sacrificio non venisse dimenticato nel tempo. Con Balbi Maria Rita Ronco e il marito Pietro, Degiovanni figlia di Giuseppe Ronco e Lucia Allara , figlia di Emilio. Iniziamo parlando di Giuseppe Ronco deportato politico ad Auschwitz: si può anche pensare a una punizione come si direbbe oggi ''trasversale'', Giuseppe era infatti il fratello di Rinaldo capo-partigiano nella zona col nome di Orlando Orlandi. Commozione quando Lucia Allara apre davanti a noi la valigetta che il padre Emilio ha riportato dalla prigionia. Contiene il diario (in parte pubblicato)s- scritto su un blocchetto intestato Air Mail, una bussola, una tabacchiera, il rasoio, tabacco, pipe, sigarette americane, lettere dall’Africa e poi dalla Palestina. Apriamo una guida della Terra Santa, con questa annotazione: ‘‘Posato sul Santo Sepolcro e sul Santo Calvario 21 novembre 1945’’ al centro un rametto di ulivo: ‘‘Lo aveva colto nell’orto dei Getsemani, a Gerusalemme’’, ci dice la figlia. Con Balbi saliamo a Pozzengo, in Borgata Osta per sentire Angelo Martino, classe 1924, anche lui partigiano con Ronco: ‘‘Grado sergente maggiore nome di battaglia’ Nanni’’. Ci porta in quella che una volta era la stalla: ‘‘Durante un rastrellamento nazifascista sono risalito dal ‘buchet’ del fieno al solaio e nascosto in un anfratto del tetto’’. Ricorda anche di aver partecipato l’11 novembre 1944 ad Ozzano all’imboscata, guidata da Rinaldo ai Marò della San Marco: ‘‘Ne abbiamo uccisi molti (quattordici, ndr) con una mitragliatrice e fatto decine di prigionieri, riempivano la chiesa di Odalengo Grande, quando arrivò un sacerdote per uno scambio ...’’. Poco distante abitano i due fratelli Apparete: Ugo, classe 1920 e Lorenzo. classe 1921. Ugo dopo sei mesi di guerra al confine francese è stato in Grecia ed Albania, contratta la malaria si fece un anno di ospedale e convalescenza, non sono stati sufficienti, per pochi giorni, per ottenere la pensione. Tre anni di guerra anche per Renzo: Francia, Sicilia e infine, per sua fortuna, Torino. Scavalchiamo la valle e dopo curvetta da montagna siamo a Casalino, mentre suonano le 12 al campanile della bella chiesa, parliamo con il reduce Giovanni Bosco, classe 1915, aviere. Con lui Anna Maria, figlia del fratello Alfonso Remo classe 1918, morto nel 1978. Nella famiglia altri tre al fronte Alfredo (1912-1991), Angelo (1909-1982) e Luigi (1907-1987). Alla paretedel tinello brilla con le vecchie foto la medaglia-ricordo appena ricevuta a Mombello.

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Marco Imarisio

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