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RICERCA 6/ Individuati alcuni geni pro-mesotelioma. Si posson “spegnere”?

Inauguriamo in questo numero questa nuova rubrica che vuole dare maggiore organicità al lavoro di informazione che da molti anni - ormai - il nostro giornale sta svolgendo sul fronte della ricerca di nuove terapie del mesotelioma. In questa prima “puntata” la ricercatrice dell'Università di Pisa Ombretta Melaiu (in foto), coordinatrice della newsletter del Gruppo Italiano Mesotelioma (GIMe), illustra due progetti di ricerca: uno su alcuni geni espressi dal mesotelioma e l'altro su una proteina correlabile all'aggressività del tumore. Per combattere più efficacemente il mesotelioma pleurico maligno servono «nuovi bersagli terapeutici» utili per comprendere «più approfonditamente la biologia di questo tumore». In tale ottica è stato condotto uno studio dall’Asbestos Diseases Research Institute dell’University of Sydney, Australia, che è illustrato nella Newsletter di aprile 2014 del GIME (Gruppo italiano mesotelioma). Base dello studio - spiega Ombretta Melaiu una delle coordinatrici del GIME e che si occupano della Newsletter - «l’RNA-interference, strumento finalizzato al silenziamento di specifici geni», una tecnica di indagine che consente di comprenderne il ruolo (“spegnendoli” a uno a uno e vedendo che succede, in pratica). A tale scopo sono stati selezionati 40 geni che risultano iper-regolati (attività superiore alla norma) nel mesotelioma e che sono stati individuati da precedenti studi di espressione genica. «Tra questi sono presenti geni chiave nella regolazione di processi vitali, nonché nella chemio-resistenza del mesotelioma», che rende inefficaci le cure tradizionali. «L’espressione di ciascuno di essi è stata silenziata in vitro con lo scopo di verificare l’effetto sulla capacità proliferativa di linee cellulari di mesotelioma ed è emerso che il silenziamento di sette di questi ha determinato una inibizione della crescita delle cellule di mesotelioma superiore al 50%», sottolinea la Melaiu. Tassi aumentati di morte cellulare Tre in particolare (mai correlati con i processi cancerogenici di questo tumore) sono poi stati trattati con molecole che ne inibiscono l’attività biologica e sono stati studiati più approfonditamente. Il silenziamento di ciascuno dei tre ha dato come risultato - spiega la ricercatrice - «una inibizione della crescita delle cellule di tumore in maniera tempo e dose dipendente, nonché della capacità delle cellule tumorali silenziate di aggregarsi tra loro. Inoltre le linee cellulari di mesotelioma mostravano aumentati tassi di morte cellulare». Le linee cellulari di mesotelioma (nella ricerca ne state studiate quattro, più una di mesotelio sano a scopo di confronto) sono poi state trattate con tre farmaci «che hanno mostrato uno spiccato effetto citotossico, inibendo la crescita e la capacità di formare colonie di tutte le linee cellulari di mesotelioma». Due linee cellulari di mesotelioma sono anche state simultaneamente trattate con la combinazione tra il cisplatino (il farmaco attualmente utilizzato nei protocolli standard di prima linea) con i tre farmaci suddetti, mettendo in evidenza un forte effetto sinergizzante soprattutto di un paio di essi». La successiva analisi immunoistochimica condotta su un totale di 154 pazienti - sottolinea inoltre la ricercatrice - ha messo in evidenza spiccati livelli proteici di due geni (il PLK1 e il CDK) nelle cellule tumorali. «PLK1 è localizzato soprattutto a livello nucleare, CDK1 mostra colorazione sia a livello nucleare che citoplasmatico. Inoltre, poiché è stata notata una sopravvivenza nettamente inferiore di tutti quei pazienti aventi livelli di PLK1 maggiore del 10%, questo potrebbe essere suggerito anche come marcatore prognostico». Lo studio suggerisce quindi l’opportunità di svolgere «ulteriori indagini del ruolo di tali geni candidati in modelli in vivo», conclude la ricercatrice, in modo da vedere se il trattamento farmacologico possa o no inibire realmente la crescita del tumore. Geni e aggressività del tumore Un secondo studio illustrato nella Newsletter GIME di aprile riguarda uno studio svolto alla Juntendo University di Tokyo, Giappone su proteine in grado di limitare il potenziale invasivo delle cellule maligne di mesotelioma. «La CD26/dipeptidyl peptidasi IV è una glicoproteina di superficie cellulare. Un’elevata espressione di CD26 correla con l’aggressività della malattia e con il potenziale invasivo nei tumori. Per esplorare ulteriormente i meccanismi molecolari coinvolti in questo comportamento clinico, il lavoro si incentra sull’interazione tra CD26 e CD9, che recentemente sono stati identificati come nuovi marcatori di cellule staminali del cancro nel mesotelioma maligno». La ricerca ha fatto comprendere «l’iperespressione del gene CD26 o il silenziamento di CD9 ha portato a una maggiore invasività, mentre il silenziamento di CD26 ha ridotto il potenziale invasivo. Quindi, CD26 e CD9 potrebbero essere potenziali biomarcatori e bersagli molecolari promettenti per nuovi approcci terapeutici nel mesotelioma maligno».

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