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BOOKS&BLUES / "Stundai", il folk d’autore dei Liguriani

Ma che bella sorpresa questi “Liguriani”, protagonisti della serata conclusiva, sabato scorso, di “Books&Blues”, rassegna nella quale hanno presentato il loro ultimo cd - “Stundai” - pubblicato dalla etichetta casalese “Fellmay” (e disponibile alla Libreria Labirinto di via Benvenuto Sangiorgio). Definirla come “musica folk” può servire a farsi giusto un’idea del loro lavoro perché la proposta dei Liguriani (che preferiscono parlare di “musica tradizionale”) è invece colta, consapevole, frutto di passione, ricerca e studio: musicale ma anche culturale. Forse un po’ paradossalmente si potrebbe definirlo un “folk... d’autore”. E se sono finiti i tempi “eroici” e pionieristici della ricerca fatta sul campo, in cui si poteva andare in giro con il registratore a raccogliere le testimonianze dei cantori che tramandavano una preziosa di tradizione orale, i "Liguriani" dimstrano che resta comunque margine per un lavoro serio e documentato in un settore che ha sempre sovrapposto alla trasmissione del “sapere” la creatività e l’inventiva personale. E che così si è rinnovato e conservato, sempre “uguale” e sempre diverso, passando di generazione in generazione e restando una “lingua” viva. Tradizione e innovazione Da bravi musicisti i Liguriani riescono infatti a ripescare nell’archivio sconfinato della storia, musiche e brani che sono espressione di un territorio: la loro Liguria, terra di confine, approdo e incontro (da sempre) di tante diverse culture, da mare e da terra. Musiche e brani che sono però anche al tempo stesso (e come sempre accade quando c’è di mezzo l’arte) universali e sanno parlare a tutti, persino attraverso il dialetto (ligure in questo caso). Musiche e brani che sono espressione di quel che di arcano c’è nei grandi e intramontabili temi della poesia e della vita. Un ensemble inedito Da bravi musicisti hanno poi saputo creare un ensemble inedito con una (appena) straniante cornamusa (Fabio Rinaudo) che, dopo il primo momento di gradevole stupore, si apprezza proprio perché la sua sonorità si amalgama con assoluta naturalezza al timbro evocativo dell’organetto (Filippo Gambetta), al canto senza tempo del violino (Fabio Biale, che è anche la voce del gruppo). Violino quasi viola che non è il classico strumento da concerto ma con una fattura mirata da parte di un liutaio tedesco se la gioca più sul registro medio-grave, con voce più pastosa e suadente. E poi ai ghirigori intimi e arcaici dei flauti traversi e a becco (Michel Balatti). Azzeccata e non scontata (sarebbe stato più tradizionale il mandolino) pure la scelta di aggiungere la chitarra (Claudio De Angeli) che da grande strumento polifonico aggiunge complessità e sostanza al tessuto musicale, ma sempre con misura e discrezione. Scrittura curatissima Curatissima la scrittura dei brani, attraverso il dialogo discreto fra gli strumenti che enunciano, ora uno ora l’altro, i temi musicali e - nel mescolarsi delle voci si arricchiscono e si completano senza mai indugiare nell’assolo fine a se stesso, nel pezzo di bravura buttato lì per strappare l’applauso. Ne guadagnano la musica e le emozioni che - senza “distrazioni” né autocompiacimenti - i brani sanno trasmettere, spesso attraverso un crescendo di masse sonore e di intensità che sono frutto di una sapiente ricerca armonica, nella quale ogni strumento fa la sua parte senza mai dimenticarsi di essere il “solo” di un “tutti”. Così fra una ninna nanna, canti di diserzione e di addio, un minuetto del Seicento ritrovato negli archivi del Duomo di Genova, ballate raccolte da pifferai della ValTrebbia, danze del Settecento, un tributo (La Monferrina del Paluc) a Maurizio Martinotti, musicista casalese ricercatore e storico fondatore della “Ciapa Rusa” e qualche simpatico scambio di battute col pubblico, in una apprezzabile varietà di ritmi e temi, passa la serata. Concerto apprezzatissimo dalla platea del “Labirinto”. Per questa quinta edizione il festival ha proposto due serate in più - ha commentato Paolo Bonfanti direttore artistico di Book&Blues”- introducendo anche la letteratura e ampliando così il pubblico che sa peraltro di potersi fidare, perché il livello qualitativo del festival è sempre elevato.

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Marco Imarisio

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