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Sopravvivere al mesotelioma grazie alle cure sperimentali

Questa è la storia di Fiorella e Francesco. Marito e moglie, innamorati, coraggiosi e tenaci che, a un certo punto, sulla propria strada hanno incontrato un nemico imprevisto e spietato, il mesotelioma. Un nome tristemente familiare, ormai, a Casale, sconosciuto o quasi per chi come loro vivono tra Milano, Genova e Antigua. Una storia iniziata ormai quasi dieci anni fa. E questa è la prima nota importante, positiva e insolita. Strano a dirsi perché parliamo di una vicenda che è sofferenza e dolore, e in certi momenti anche disperazione; ma quando in palio c’è la vita e l’alternativa è perderla - dicono le statistiche - nel giro di 12/18 mesi, vivere dieci anni è un regalo del destino. O forse non solo... La loro storia sembra dimostrare proprio che qualche volta al destino si può dare una mano, perché a dire il vero qualche dubbio, qualche forte dubbio a sertirli raccontare la loro storia viene. La mazzata della diagnosi - terribile - giunge a ottobre del 2000. Il primo ricovero nel 2000 «Francesco viene ricoverato all’Istituto Clinico Sant’Ambrogio per un intervento chirurgico flebologico a un arto. E da una radiografia di routine al torace emerge che c’è un versamento pleurico», spiega la moglie Fiorella. Il medico decide di approfondire con una TAC toracica che rileva la presenza di «nodulopatie pleuriche». La conferma viene dalla biopsia eseguita a seguito di intervento di talcaggio pleurico: è mesotelioma. È il solo momento in cui Francesco e Fiorella si affidano a qualcuno totalmente. Sono colti di sorpresa e non hanno il tempo di riflettere, di conoscere, di capire. Da novembre a marzo del 2001 Francesco si sottopone a cinque cicli di chemioterapia con Cisplatino e Gemcitabina e al termine del trattamento si evidenzia una malattia sostanzialmente stabile. «Ma se tornassimo indietro non lo faremmo più; sono stati cinque mesi di sofferenze. Ora sappiamo che nessuno può dire se questa malattia a lenta evoluzione, scoperta casualmente, bloccata temporaneamente dal talcaggio, non sarebbe comunque risultata stabile anche senza chemioterapia». Da quel momento prendono coscienza dei propri diritti di malati e pretendono di sapere sempre quali siano le cure somministrate, farmaci e dosaggi, effetti collaterali, risultati statistici sulla possibile regressione o stabilità di malattia. «Oggi è più semplice perché i diritti dei malati sono più chiari, ma un tempo i medici non volevano comunicare questo genere di informazioni». La ricerca di altre terapie Fiorella e Francesco si informano e nel 2002, attraverso ricercatori americani, vengono in contatto con il GIME e con Luciano Mutti. Dal 2002 al 2004 i controlli confermano la stazionarietà della malattia. «Ogni volta che si avvicina la data di un controllo vivono nell’angoscia temendo che si verifichi la “progressione”, consapevoli che gli schemi di chemioterapia applicati nei centri oncologici poco o nulla possono fare». La «progressione» E nel giugno del 2004 il timore purtroppo si concretizza con la formazione di una metastasi addominale asportata chirurgicamente. Il controllo PET-TAC conferma progressione di malattia. Mutti spiega dettagliatamente a Francesco e Fiorella, «invitandoci anche a un congresso dove viene illustrato il lavoro svolto e i risultati ottenuti, prima in vitro e poi sulle cavie, con statistiche e immagini, su cui abbiamo potuto osservare anche la scomparsa del tumore; Mutti ci crede in questa terapia, ci crediamo anche noi e decidiamo di aderire alla sperimentazione, consapevoli che Francesco sarà il primo paziente in assoluto a sottoporsi a questa cura, della quale non si conoscono ancora i dosaggi. «Gli viene applicato il dosaggio considerato massimo - ricorda Fiorella - e siccome Francesco era già un po’ debilitato, dopo il primo ciclo emergono alcuni problemi, per cui vengono abbassate le dosi e si fanno altri due cicli. E ha funzionato! Per altri tre anni Francesco è stato benissimo: giocava a golf, faceva ore di attività sportiva ogni giorno, corsa, nuoto... e lavorava. Insomma, svolgeva una attività addirittura superiore rispetto a quella di una normale persona sana». «Certo, l’aspetto psicologico della malattia è molto pesante, i controlli periodici non te la fanno dimenticare, ma mio marito è molto bravo ad affrontare e superare le difficoltà e io con lui», aggiunge Fiorella. Ad agosto del 2004 viene dunque sottoposto a una nuova valutazione al Policlinico S. Matteo di Pavia e viene ricoverato per sottoporsi a 3 cicli di trattamento sperimentale con Gemcitabina e Imatinib mesilato. A settembre la PET-TAC, esame che dà informazioni anche sulla attività metabolica del tumore, ne conferma la riduzione nelle sedi di malattia precedentemente identificate e alcune lesioni pleuriche di minori dimensioni sono scomparse. Nel 2007 nuovo problema Dopo tre anni, nel 2007, si verifica una nuova progressione, viene rifatto lo stesso trial alle dosi basse ma non c’è risposta. «Ci viene proposto il raddoppio del dosaggio di gemcitabina ma mio marito ha un rifiuto della malattia e quindi della terapia per cui è ormai in progressione da un anno. Adesso temiamo che sia tardi... «Ma crediamo moltissimo in quello che sta facendo Mutti e sappiamo che aiutare lui vuol dire aiutare gli altri malati. Sappiamo anche che non esiste una cura che faccia sparire il mesotelioma. Mutti ci ha sempre detto che il suo obiettivo è trovare una terapia che lo tenga sotto controllo, consentendone una buona convivenza a lungo. «Al contrario di altre proposte catastrofiche che nel tempo ci hanno fatto e che abbiamo rifiutato, quali interventi chirurgici con resezioni pesantissime, o trials con sostanze ad alta tossicità e bassi risultati che per fortuna abbiamo rifiutato. «Mutti è stato l’unico che abbiamo trovato con il coraggio di lavorare fuori degli schemi anche contro i grandi poteri e di dirci la verità, e in questo modo può anche crearsi dei nemici. «Ma io e mio marito e io abbiamo sempre voluto sapere come stavano realmente le cose, anche se all’inizio, come dicevo, nove anni fa, cercavano di nasconderci sia la gravità della malattia che le informazioni sulle terapie. «La conoscenza ci ha consentito di parlare con oncologi e clinici apertamente, contrastando certe loro posizioni “canoniche”, con la soddisfazione di sentirci dire almeno confidenzialmente che in fondo avevamo ragione noi sulla non validità di terapie e trials. «Del resto capiamo che ufficialmente i medici non possano esprimersi diversamente, ne va del loro posto ed è dura mettersi contro le istituzioni, specie in Italia. «Mutti è diverso. Ha la forza il credo la caparbietà e la capacità di trovare risorse spostandosi anche all’estero. E sulle terapie sperimentali che qualcuno a Casale ha definito «acqua di Lourdes...»? «Si, è successo anche a noi di sentire commenti non entusiasmanti, a volte dicono che sono cose superate, ma in realtà non le conoscono...».

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