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«Eternit: è una strage globale, una strage del futuro. Come Fukushima»

Quella causata da Eternit a Casale, Cavagnolo e nelle altre località italiane «non è una catastrofe locale, non è dovuta a circostanze impreviste ma è il risultato di organizzazione aziendale finalizzata a profitti eccezionali», come dimostra i fatto stesso che l’amianto fosse chiamato «l’oro bianco». E per questo quella di Eternit è una catastrofe globale: tanti disastri nel mondo «quanti sono gli stabilimenti» E quindi «il processo che si celebra a Torino è un processo globale...». Estremamente incisivo l’intervento dell’avvocato francese Jean-Paul Teissonière (in aula con altri colleghi svizzeri e belgi per patrocinare alcune vittime) che ha messo in evidenza ieri, alla 54ª udienza del processo Eternit, l’ultima prima della pausa estiva, la valenza internazionale del processo di Torino. Teissonière ha parlato del «cinismo con il quale malgrado le possibilità offerte dalla tecnica il gruppo ha scelto di differire il passaggio a una produzione senza amianto». Una catastrofe quella causata da Eternit che non appartiene purtroppo la passato e che ha «limiti temporali oggi non prevedibili». Casale come Fukushima Quella di Casale - come quella di Fukushima - ha detto Teissonière - è «una catastrofe dell’avvenire». Operai e residenti che sono stati esposti e oggi sono sani potrebbero ammalarsi in futuro. «Su di voi - ha detto rivolto ai giudici - grava il peso di giudicare una catastrofe che non è terminata e che dopo la conclusione del giudizio continuerà a produrre nuovi effetti...». L’avvocato parigino ha sottolineato come «per le associazioni delle vittime del mondo Torino è un laboratorio. Qui speriamo si creino fondamenti per la nascita di una corte penale internazionale che possa giudicare grandi crimini sociali e ambientali. Cinquecentomila morti in europa, milioni di vittime nel mondo: non esiste nella storia una catastrofe industriale paragonabile». E la giustizia, ha auspicato Teissonière dovrebbe cominciare a giocare d’anticipo, punendo chi crea il pericolo, non solo le vittime, in modo da intervenire sulle cause quando non hanno ancora creato lutti e stragi ed evitandole così, concretamente. Un semplice atteggiamento di cautela che dovrebbe essere fatto valere, insomma, attraverso la magistratura, altrimenti la giustizia rischia di essere sempre e comunque subalterna all’interesse economico. E di pari passo occorre cominciare anche a considerare una nuova categoria di vittime, coloro che sono appunto esposti a un pericolo e che hanno per questo un «danno da ansietà. La gestione centralizzata La prima a intervenire dei legali stranieri è stata in verità Emanuelle Schouten, belga, a Torino con il collega Jan Fermon, di Bruxelles. Ha ipotizzato quale potrà essere la linea difensiva dei legali del barone belga Louis de Cartier imputato con lo svizzero Stephan Schmidheiny. Per entrambi l’accusa è di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antifortunistiche. Per entrambi la Procura di Torino ha chiesto 20 anni di reclusione. Secondo l’avvocato Schouten, de Cartier punterà sulla carenza di conoscenze scientifiche certe relativamente alla reale pericolosità dell’amianto e nessun incarico relativo al controllo degli ambienti di lavoro. «Ma Eternit era una multinazionale a gestione centralizzata gestita dalla famiglia Emsens con cui de Cartier era imparentato». E quanto agli aspetti e alla responsabilità gestionali l’avvocato belga ha affermato che «De Cartier non era un semplice impiegato contabile ma era al vertice del gruppo, per aspetti finanziari così come per la produzione». Il nesso amianto-mesotelioma ha ricordato era stato stabilito inequivocabilmente da Selikoff nel 1964. «È illogico affermare che la multinazionale non si interessasse degli effetti dei propri prodotti, e infatti se ne interessava. La faceva la Eternit francese in cui Eternit belga aveva partecipazioni. In Francia erano noti gli studi di studi di Wagner, e l’Eternit belga era presente a New York al simposio promosso da Selikoff. Era presente a Lione lo stesso anno in un convegno in cui dove si parlava dei rischi amianto». Si sapeva tutto da tempo Già molto prima del 1967 Eternit - ha detto il legale belga - era dettagliatamente informata sui rischi. I dirigenti si sono però impegnati a nascondere la verità e hanno cercato di influenzare la politica per continuare a fare affari con l’amianto. Ed Eternit ancora nel 1984 faceva pressione sul Parlamento Europeo per difendere l’utilizzo dell’amianto,«vent’anni dopo gli studi inequivocabili di Selikoff. «Da metà di anni Sessanta Eternit era a conoscenza del fatto che l’amianto fosse un veleno mortale... Hanno ignorato le conoscenze scientifiche ma con l’attività di lobby hanno cercato di nasconderle e distorcerle». La posizione di Schmidheiny Per la Svizzera è intervenuto invece l’avvocato David Husman affiancato dal collega elvetico Massimo Alliotta. Il legale ha messo in rilievo il ruolo di Stepham Schmidheiny, parlando di «dolo diretto». Una vicenda - quella dell’Eternit e dell’amianto - trattata con molta cautela in Svizzera. Husman ha parlato di una «lobby svizzera fondata nel 1978 con il compito specifico di evitare che l’amianto fosse classificato come veleno alla categoria numero 1 e se possibile persino come polvere fine inalabile». E poi di una «tattica dell’uscita muta» (senza clamore) dall’affaire-amianto, un programma di tutto il gruppo Eternit, non solo in Svizzera. Ma Stephan Schmidheiny «era consapevole fin da giovane sui veri pericoli dell’amianto». La prova dei bollettini SUVA Lo si desume dal fatto che come industriale - ha detto l’avvocato elvetico - era informato dai bollettini della SUVA (l’Inps svizzero) sui rischi amianto almeno dal 1971. «Da quel momento i dirigenti avrebbero agire subito, sia tutelando gli operai sia smettendo di usare l’amianto....». Il primo volantino della SUVA risale al maggio del 1971 e si indica come «pericoloso il prodotto eternit, sia per l’asbestosi sia per il mesotelioma» raccomandando di evitare la polverosità, con tutta una serie di accorgimenti. Nel settembre 1971, si rendono obbligatorie le misurazioni ambientali nei luoghi di lavoro in caso di utilizzo di sostanze dannose e «per l’amianto viene detto che può causare il mesotelioma e che non è possibile stabilire una esposizione minima». E di nuovo nel 1975 si sottolinea che da anni ormai mesotelioma e tumore del polmone vengono attribuiti all’amianto: «Quello che ha saputo la SUVA lo sapevano anche gli Schmidheiny...». E lo stesso Stephan Schmidheiny in una intervista a un giornale, nel 1981, dimostra di essere consapevole dei rischi affermando che i rischi erano noti già venti anni prima, ha messo in evidenza ancora Husman. La prescrizione-killer Poi una amara nota sui processi svizzeri, tutti prescritti perché i magistrati elvetici hanno fatto scattare la «prescrizione-killer» dopo 10 anni dalla ultima omissione. E siccome la latenza del mesotelioma è come minimo 15-20 anni, diventa impossibile celebrare i processi e ottenere giustizia. La speranza è che a Torino, per i casi di giurisdizione italiana non vadano prescritti.

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