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RICERCA 3 / La proteina eIF6: «Inibirla potrebbe rallentare lo sviluppo del tumore»

Si chiama eIF6 ed è una delle proteine sotto «stretta sorveglianza» perché si ritiene che potrebbe avere un ruolo significativo nella crescita delle cellule tumorali del mesotelioma. È da qui che parte lo studio che sta conducendo l’equipe di Stefano Biffo, responsabile dell’Unità di Istologia Molecolare dell’Istituto San Raffaele di Milano e professore associato di biologia molecolare all’Università del Piemonte Orientale, con il quale collaborano Annarita Miluzio e Stefania Oliveto. Il punto su cui i ricercatori si stanno concentrando è infatti capire se questo fattore, insieme a un altro gene - l’eIF4e - abbia, e in che modo, una influenza sulla proliferazione delle cellule e se possano diventare bersagli farmacologici o marcatori prognosticiutili a testare l’aggressività della malattia. «Almeno in alcuni casi pensiamo che si possa bloccare l’attività dell’eIF6 – dice Biffo – e speriamo che tutto ciò nei prossimi 3-4 anni possa diventare clinicamente praticabile». L’equipe di Biffo sviluppa le proprie ricerche in “tandem” con il gruppo di studio del professor Bruno Burlando dell’Università di Alessandria, insieme a Elia Ranzato e Simona Martinotti. Ma nella rete che sta sviluppando il lavoro c’è anche Stefano Grosso che è attivo a Leicester, in Inghilterra. «Proprio con l’università di Leicester aggiunge - Luciamo Mutti - si sta aprendo una nuova collaborazione per l’utilizzo dei dati preclinici che derivano dalla ricerca di base per avviare nuovi trials sperimentali già dall’anno prossimo in aggiunta a quelli attivati negli USA e che che coinvolgeranno anche strutture italiane». Uno di quelli proposti riguarda proprio l’utilizzo di un farmaco denominato «Enzastaurin» che è un inibitore dell’eIF6. La collaborazione Una collaborazione che i tre gruppi ritengono essenziale per sviluppare una azione di studio efficace e che trova stimolo dal sostegno offerto dalla Fondazione Buzzi che contribuisce a sostenere il costo delle inibirlaricerche. Nel 2005-2006 c’era anche stato un finanziamento regionale, che poi purtroppo è venuto meno. «Il nostro – spiegano Biffo e Burlando – è un modello di cooperazione che si basa - semplicemente - sull’idea che alcune cose possono essere fatte meglio ad Alessandria, altre a Milano...». Un esempio banale – se si vuole – è la sperimentazione sui modelli murini che sono disponibili a Milano ma non in Università ad Alessandria, dove non esiste uno stabulario. Nuove terapie L’aspetto della ricerca curato invece dall’equipe di Burlando mira apertamente a sviluppare una terapia più efficace di quella attuale partendo dalla combinazione di sostanze note ma non ancora utilizzate (insieme) per curare il mesotelioma. Il lavoro attuale parte dalla combinazione di tre componenti: l’acido ascorbico (la vitamina C), una catechina (epigalocatechinatregallato) e la gemcitabina (un chemioterapico). Lo scopo è combinare alcune Milanotra le sostanze meglio tollerate dall’organismo ed efficaci sul tumore. Vitamina C e catechina – spiega Burlando - hanno dato prova di essere efficaci sulle cellule tumorali e la prima è notoriamente ben tollerata anche in dosi farmacologiche, sottolinea il ricercatore. Per la catechina la tollerabilità è di livello medio, mentre la gemcitabina è più impattante. Gli studi di tossicità (la cosiddetta FASE1) sono già stati effettuati per tutte queste sostanze, manca invece una verifica sul «cocktail» di tutte e tre queste sostanze. In sostanza si sta lavorando sui singoli componenti per caratterizzarne l’azione e successivamente si cerca di capire come agiscono le miscele. E dalle sperimentazioni fatte finora – dice Burlando «Vitamina C e catechina in vitro hanno dimostrato di uccidere le cellule tumorali e di avere una forte azione sinergica, tanto che a parità di effetto il dosaggio viene ridotto a un decimo, mentre nel modello animale (i topi) il dosaggio viene ridotto a un terzo rispetto alla chemioterapia tradizionale. Insomma i dati preliminari dicono che funziona anche “in vivo”». Tempi non brevissimi Certo i tempi non sono brevissimi, perché occorreranno almeno tre anni per completare le sperimentazioni sui modelli animali e passare poi, se tutto funzionerà come ci si augura, ai primi trial clinici sui pazienti. La ricerca di base è una tappa ineludibile per capire di più e meglio quale sia il funzionamento di questo tipo di tumore nella speranza – un giorno – di poterne trovare i punti deboli fare una valutazione sulla traslazionalità in ambito clinico delle ricerche che si stanno effettuando oggi è difficile. E del resto inutile nascondersi che se la ricerca scientifica sul mesotelioma non è completamente «orfana» è comunque svolta da una comunità scientifica relativamente piccola ed è ancora “giovane”. Ma la problematica del cancro da amianto è tutt’altro che superata e probabilmente esploderà in modo più manifesto nei prossimi decenni visto che questo materiale viene utilizzato ancora in due terzi del pianeta. E la ricerca non può quindi – anche moralmente – alla responsabilità di ricercare soluzioni più efficaci di quelle attuali partendo dalla constatazione di fatto che «ciò che viene acquisito alla conoscenza è oggi immediatamente a disposizione dell’umanità intera», dice Biffo e - aggiunge Burlando - «il problema delle malattie rare è sempre estremamemte importante dal punto di vista etico». Certo c’è molto da lavorare per recuperare rispetto agli studi effettuati per altre patologie. Per esempio per individuare sistemi di diagnosi precoce (attualmente il tumore è diagnosticato in presenza di sintomi manifesti) che permettano i trattamenti in una fase molto precedente della malattia rispetto ad ora, quando il tumore non è ancora conclamato e potrebbe, si spera, essere maggiormente aggredibile.

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