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Il “moto perpetuo” della raccomandata che dal 25 marzo è ostaggio del “Mostro delle Poste”

Forse è un esperimento scientifico per vedere a quanti viaggi e quanti giorni può resistere una busta prima di distruggersi e saggiare così la resistenza meccanica della carta di oggi. O forse le Poste vogliono valutare il grado di inerzia e impermeabilità del loro sistema di comunicazione con i clienti: che è pressoché perfetto, possiamo testimoniarlo! Di certo - viene da pensare - non può essere solamente un banale “disservizio”... tanto è stupido! Capita infatti che chi scrive abbia spedito una lettera raccomandata da Casale a Torino il 25 marzo - e mica per provocazione o sadismo (meglio ancora masochismo!), ma solo per recapitare documentazione che richiedeva tale metodo di invio “sicuro”. E capita che la busta sia stata presa in ostaggio dal... mostro della burocrazia postale, tanto che ancora ieri, il 13 aprile - venti giorni dopo! - era sperduta nella terra di nessuno del nonsense postale. E sinceramente non mi stupirei se così - sua sponte! - qualche computer di qualche centro meccanografico del “Mostro delle Poste” mi facesse arrivare un orecchio della busta brutalmente tagliato e una faraonica richiesta di riscatto! Ma la cosa più buffa è che (lo sanno tutti!) nei rapimenti normali si sceglie un posto segreto, anzi meglio, segretissimo!, e si tiene l’ostaggio al buio e lontano da qualunque contatto umano. E in effetti noi ingenui e comuni mortali siamo portati a pensare che la povera busta rapita stia nell’oscurità triste e solitaria di un anonimo cassetto, in qualche grigio palazzone di una periferia urbana. Sbagliato! Le Poste sono furbe!, e hanno inventato il “moto perpetuo della raccomandata”. Dal 25 marzo a ieri, 13 aprile, (e fino a quando Dio lo vorrà...) dopo che è “rapidamente” (cinque giorni!) arrivata a Torino, hanno continuato a far viaggiare l’ostaggio tra due uffici postali, da Torino Nizza CPD a Torino CMP, da Torino CMP a Torino Nizza CPD, da Torino Nizza CPD a Torino CMP, da... Geniale! E pensare che “Torino-Nizza-CIPPIDÌ” sarà a cinque minuti (a piedi!) dall’indirizzo a cui deve essere recapitata. E le abbiamo provate tutte, eh: dalle semplici telefonate agli uffici postali (...ma i numeri sono finti!? non risponde mai nessuno!), alla segnalazione tramite PEC all’ufficio reclami, alla sfacciata presa per i fondelli del famigerato “Numero Verde”; un rito umiliante: «Premi uno, premi due, premi uno, fai la riverenza... fai la penitenza... indovina indovinello... dica trentatré... la Befana vien di notte...», fino all’eterna musichetta che può durare anche alcune ore. Basta aver pazienza! E si capisce!, visto che gli operatori sono “momentaneamente impegnati”! «Maurizio, quanto può durare un istante?», chiedeva Benigni nel “Piccolo diavolo”. Per fortuna all’ufficio postale di Casale c’è ancora qualcuno che sa cosa sia il mondo reale e che combatte per evitare che sia fagocitato dal “Mostro delle Poste”. Qui hanno subito capito che la situazione era paradossale, tanto che scuotendo la testa una impiegata ha detto che avrebbe telefonato a “qualcuno che conosce” in uno dei due uffici torinesi per implorare la liberazione della prigioniera, visto che i canali ufficiali sono sordi. Ma mica è risolta, ancora. A questo punto siamo! Povere Poste, e poveri noi. Ci sarebbe da chiedere all’ad di Poste Italiane Francesco Caio quanto costano tutti questi “servizi” perfettamente inutili e assolutamente virtuali, e chi si becca i soldi per questa farsa, tipo numeri verdi e indirizzi di posta a cui indirizzare reclami che vengono presi in considerazione - forse - solo dopo mesi, quando il problema è risolto; o linee telefoniche dove dall’altro capo sembra esserci il Deserto dei Tartari. E magari lo faremo. Però, non via... raccomandata.

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Veronica Spinoglio

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