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Indennizzi, strada spianata. INAIL capofila, costi contenuti per i cittadini

Mentre il processo di appello Eternit prosegue nella «Maxiaula 1» del tribunale di Torino si lavora alla strategia per ottenere la completa esecuzione di una sentenza che - sul fronte delle vittime e delle parti civili - si auspica confermi e ampli il pronunciamento del tribunale di primo grado, non solo relativamente alla condanna penale ma anche per i risarcimenti. La speranza - soprattutto sul fronte dei cittadini che hanno subito la «strage mai vista» dell’Eternit (una catastrofe che, è stato detto, «non ha pari nella storia dell’industria e della tecnologia») - è che vengano infatti inclusi nell’elenco delle parti risarcibili anche coloro che non lo sono stati in primo grado per «errori materiali», dice Nicola Pondrano, ex operaio e sindacalista, attualmente presidente del Fondo Vittime amianto dell’INAIL. Recentemente su richiesta delle associazioni e del Comune di Casale, e su indicazione dei ministeri della Salute e del Lavoro, si è infatti tenuta una riunione a Roma (proprio presso la sede INAIL) per discutere le strategie da adottare per far sì che i due imputati provvedano al risarcimento dei danni, se la condanna verrà confermata anche in secondo grado. E a distanza di qualche giorno il quadro è più chiaro ed emerge che il ruolo dell’INAIL, pur senza svolgere un incarico formale, potrebbe essere determinante proprio per spianare la strada ai cittadini e rendere esecutiva la condanna. INAIL, dopo avere provveduto alla traduzione della sentenza secondo le procedure previste dalla legislazione internazionale, ha infatti preso contatto con alcuni avvocati che - in quegli stessi Paesi - si occuperanno di portare avanti le pratiche per concretizzare i risarcimenti, se necessario anche in modo forzoso. «In questo modo - spiega Pondrano - noi potremmo aggregarci per le costituzioni di parte civile e per le esecuzioni. «Abbiamo già anche fatto una ipotesi concreta sui costi e la somma prospettata da questi legali è di 300 - 350 euro per ciascuna singola posizione». Una somma contenuta che renderebbe molto più praticabile di quanto non si potesse ritenere finora la prospettiva di una rivalsa sui patrimoni dei due imputati. Ma c’è di più perché - spiega Pondrano - «non si tratterebbe di una adesione preventiva, “al buio”, ma si concretizzerebbe nel momento in cui verrà individuata la “cassaforte”, la possibilità - cioè - di una esecuzione congrua». Attualmente il conto che INAIL e le circa 800 parti civili dovrebbero presentare ai due imputati (condannati a rispondere in solido) è di 15 più 25 milioni di euro, 40 in tutto. E le costituzioni scatterebbero dunque solo dopo che sono stato individuati beni per coprire tale somma. Peraltro se le parti lese ammesse al risarcimento aumentassero e ci fosse anche una lievitazione delle provvisionali riconosciute alle vittime (che hanno subito un danno pesantissimo, la stessa vita umana) quella che Pondrano definisce una «parcella sociale» potrebbe anche essere ulteriomente contenuta. Oggi in aula a Torino E oggi - venerdì - prosegue a Torino il processo di appello per la strage Eternit. In scaletta la conclusione degli interventi dei responsabili civili, le società chiamate a rispondere in solido con gli imputati degli eventuali risarcimenti che il tribunale potrebbe decidere di riconoscere a chi ha subito danni a causa della attività della multinazionale dell’amianto. Oggi interverranno il difensore di Etex (società belga collegata a de Cartier) e uno dei due avvocati del belga Louis de Cartier per affrontare proprio l’argomento delle richieste delle parti civili. Mercoledì il tema delle responsabilità delle società era stato affrontato dallo stesso Fornari e dall’avvocato Mangia, legale di Amindus, società legata a Schmidheiny. Proprio quest’ultimo ha sostenuto la tesi della assenza di responsabilità degli imputati, invocandone l’assoluzione. Tra il pubblico (tra cui una scuola dell’Istituto Maria Curie di Legnano che aveva preso parte anche ad alcune udienze del primo grado) si è levato un brusio di costernazione perché appare paradossale che la strage Eternit - se fossero prese per buone le tesi dei difensori - possa restare impunita proprio a fronte del ruolo svolto al vertice della società dai due imputati dimostrata con dovizia di documentazione e particolari dalla Procura di Torino con una monumentale indagine. Tanto più paradossale perché proprio la lunga latenza delle malattie asbesto correlate e in particolare dei tumori (malattie note con certezza dalla metà degli Anni Sessanta grazie agli studi e alla attività di denuncia pubblica del medico statunitense Irving Selikoff) è stato verosimilmente terreno di speculazione da parte degli industriali del settore amianto che hanno sperato che proprio il trascorrere del tempo fosse una garanzia di impunità, per esempio attraverso la prescrizione. Argomento sfiorato nella requisitoria in primo grado dallo stesso pm Raffaele Guariniello che, ribadendo le responsabilità addebitate agli imputati, aveva detto che l’unica speranza di sfuggire alla giustizia è la morte del reo, che comporta - appunto - l’estinzione del reato. Il caso dell’Enel di Chivasso La carta giocata dai responsabili civili è quella alla base della sentenza che - lo scorso novembre - ha mandato assolti i dirigenti dell’Enel di Chivasso accusati di omicidio colposo per la morte di quattro operai causate dall’esposizione all’amianto nella centrale elettrica dell’Enel di Chivasso. Alla base della sentenza c’è la teoria della trigger dose, la tesi che basta una sola fibra per causare la patologia e quindi l’impossibilità di individuare con certezza il responsabile. Così si risalirebbe a un’epoca talmente remota che i responsabili dell’epoca (ante De Cartier, a questo punto) sarebbero effettivamente tutti morti. Sentenza che non ha nulla che fare con il processo in corso ha annotato il procuratore generale Ennio Tomaselli chiedendo che non fosse neppure messa agli atti. Inquinamento... free? Una tesi suggestiva che - a dire il vero - potrebbe giustificare qualunque forma di inquinamento successiva (esagerando di qualunque cancerogeno, tanto si crepa comunque a causa della prima fibra di amianto sparsa nell’aria da chissà chi!) e che è stata rigettata in più sentenze della Cassazione anche sulla base delle conoscenze scientifiche illustrate in aula durante il processo di primo grado da Francesco Barone Adesi, attualmente docente universitario in Epidemiologia alla St. George University of London. Le esposizioni successive - aveva spiegato molto chiaramente Adesi - hanno un ruolo sia nell’accrescere il rischio sia per accorciare i tempi di latenza e causare più precocemente le patologie. Principio - questo - che spiega la condanna in solido dei due imputati in primo grado.

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