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Processo Eternit / La paura dei risarcimenti e l'alternativa delle transazioni

«La strategia di basso profilo ha facilitato il raggiungimento di accordi, e questi hanno permesso di ridurre al minimo il notevole impatto economico della procedura di fallimento e dei risarcimenti, (in altri processi simili, che hanno coinvolto società molto più piccole, gli amministratori sono stati condannati a pagare risarcimenti di centinaia di milioni di lire per ogni vittima)». È uno degli agghiaccianti passaggi del Processo Eternit che proviene dal sequestro che l’autorità giudiziaria ha effettuato nello studio di pr Bellodi, che per un ventennio ha monitorato la situazione italiana con una vera e propria attività di spionaggio di associazioni, giornalisti e persino magistrati per occultare le responsabilità - ha inteso dimostrare la Procura al Processo - di quello che nelle carte veniva definito «l’azionista finale»: lo svizzero Stephan Schmidheiny. Scopo: «ridurre la pena» Una attività che allo svizzero è costata negli anni milioni di euro, per pagare consulenti e spie, ma che - come hanno messo nero su bianco i consulenti dello stesso svizzero - ha consentito di liquidare le parti lese con risarcimenti praticamente ridicoli, come sta continuando ad avvenire per tutti coloro che accettano le transazioni proposte dall’imputato svizzero. La transazione del resto è stata sempre la via maestra, quando lo svizzero si è visto alle strette, per minimizzare i costi. In altro documento sequestrato dalla Procura a Bellodi si riassume la prima vicenda giudiziaria: «Nel procedimento di Casale gli accusati sono stati condannati per un solo omicidio colposo. «Venne stipulato un secondo accordo risarcitorio con lo scopo di ridurre la pena. Attraverso tale accordo il Gruppo ha escluso ulteriori responsabilità superiori. La cifra che venne accordata ai ricorrenti era molto bassa». La strategia delle transanzioni Ma la strada delle transazioni era iniziata già dal fallimento: «La gestione del fallimento non è che l’inizio di una strategia tesa ad occultare la responsabilità dell’azionista finale, per usare il gergo di Bellodi», ha detto la pm Sara Panelli nella propria requisitoria, aggiungendo: «L’imponente mole di documentazione sequestrata a Bellodi nel dicembre 2005 è materiale scottante per l’imputato, capace di sconcertare qualunque lettore». Nel settembre del 2000 Bellodi fa il punto di 16 anni di attività: «Già dal suo inizio nel 1984, gli obiettivi nella gestione delle comunicazioni per il caso Eternit in Italia sono stati i seguenti: a) mantenere il caso a livello “locale” e mantenere il tono il più basso possibile; b) focalizzarsi sulle società Eternit “italiane”, evitando quindi ogni riferimento al gruppo svizzero Eternit e, soprattutto, ai suoi azionisti; c) minimizzare sia il danno economico sia quello d’immagine (Eternit può facilmente diventare il “capro espiatorio” dell’intera industria dell’amianto)». Poi il passaggio sul minimo impatto economico con cui abbiamo aperto questo stesso servizio. Sedici anni di «depistaggi» Bellodi non nasconde la soddisfazione per i risultati sinora conseguiti: «Finora, dopo 16 anni di attento e accurato lavoro di gruppo, i precedenti obiettivi sono stati completamente raggiunti, dato che l’attenzione della stampa è stata minima rispetto all’effettiva importanza del problema; la copertura informativa da parte della stampa è stata limitata ai mezzi di comunicazione locale anche in alcuni momenti molto critici (ad esempio il fallimento, il processo di Casale) in cui il rischio che diventasse un soggetto a livello nazionale e internazionale era molto alto; nessun riferimento manifesto è stato mai fatto al gruppo svizzero». Ma con il passare degli anni ci rende conto che la situazione non è poi così scontata. Le tre preoccupazioni A preoccupare sono fondamentalmente tre aspetti come si legge in un altro documento sui processi in Italia. Il primo sono gli ex dipendenti: «A causa del periodo di latenza, altri ex dipendenti (non inclusi nel processo) potrebbero morire in futuro e - di conseguenza - le loro famiglie, potrebbero avviare un nuovo processo contro i precedenti amministratori per ottenere dei risarcimenti». Il problema sono sempre e solamente i soldi, il timore che possano essere presentate richieste di risarcimento, a riprova che lo svizzero non si sente affatto in una «botte di ferro». Secondo problema i «non dipendenti», vale a dire le vittime dell’inquinamento ambientale, cittadini che mai hanno lavorato all’Eternit: «Vi sono svariati segnali del fatto che le famiglie stiano cercando di riunirsi con lo scopo di dare vita a un nuovo processo contro la società e/o i suoi amministratori. Questo non si è ancora verificato, ma non c’è ragione per cui queste persone (che non hanno nulla da perdere) non dovrebbero cercare di ottenere dei risarcimenti». Così scrive Bellodi: persone che non hanno «nulla da perdere». A parte la vita... «Inoltre, un simile processo potrebbe sollevare il pericoloso caso dell’inquinamento atmosferico nell’area di Casale nel caso in cui si dimostrasse una relazione tra questi decessi e l’attività dello stabilimento Eternit». Chiarissima la consapevolezza che il problema dell’inquinamento c’è ed è evidente. La preoccupazione è sempre e solo quella del costo economico dei risarcimenti. Nessun cenno a «filantropiche» bonifiche. Il terzo punto è proprio infatti l’inquinamento ambientale: «Il pericolo di un’azione legale (...) contro la società (...) ma anche contro gli azionisti per inquinamento ambientale è legato» anche «all’area intorno allo stabilimento, ancora da ripulire». E si arriva all’ultimo «patto» Dopo anni passati a negare, occultare, spiare, adesso che il processo di Torino ha portato a galla tutto molto chiaramente, si arriva dunque oggi all’ennesima transazione con la città di Casale che - scrive ancora Bellodi a Schmidheiny - «è in Italia “il” posto dell’amianto e dell’Eternit, e qui c’è sempre stato, e c’è ancora, un alto coinvolgimento della comunità locale». Perché aggiunge cinicamente «fino a che lo stabilimento sarà là (sempre più in disfacimento) e l’area circostante (colma di rifiuti d’amianto che formano una penisola nel fiume) non saranno ripuliti, qualcuno (i Verdi, il Ministro dell’Ambiente, l’Amministrazione Regionale) potrà rivendicare una responsabilità da parte dell’Eternit».

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Marco Imarisio

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