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L'Eternit? Risparmiava sulla sicurezza, ma investiva in mistificazione

La legge italiana - secondo la consolidata interpretazione della Cassazione - impone all’imprenditore di adottare le più avanzate conoscenze e i più efficaci mezzi tecnologici a disposizione per abbattere il rischio di infortunio e di malattia-infortunio sul lavoro. E le soglie di rischio i valori limite sono al massimo un «campanello d’allarme. Lo ha affermato il pm Raffaele Guariniello alla 47ª udienza del Processo Eternit di Torino in una lunga disamina normativa sulla giurisprudenza consolidata in merito ai reati contestati agli imputati, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis de Cartier, accusati dalla Procura di Torino di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antifortunistiche. Ma Eternit - ha affermato il pm Gianfranco Colace - entrando in seguito nel merito delle evidenze emerse durante il dibattimento fece esattamente l’opposto, in primo luogo scegliendo di adottare i limiti di una associazione di igienisti americani - l’ACGH - che erano meno restrittivi. E ciò in quanto sarebbe stato troppo oneroso adeguarsi a quelli più severi dell’OSHA, agenzia del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti che ha lo scopo di garantire la sicurezza sul lavoro. Ma Eternit andò ben oltre - secondo Colace - aggirando o nascondendo i problemi, come quando un dipendente - Angelo Gnocco - dopo due giorni passati a caricare l’amianto blu con la forca sulla carriola per alimentare le impastatrici va in direzione e dice chiaro e tondo che se il lavoro è quello se ne sarebbe andato. «Ed Eternit sposta Gnocco in un’altra lavorazione - ha sottolineato Colace - mica risolve il problema...». Quanto ai valori limite il SIL, il Servizio Igiene del Lavoro istituito da Eternit non avrebbe mai avuto - secondo il magistrato - valore di strumento per la tutela effettiva della salute dei lavoratori ma, al massimo, fu uno strumento di gestione del dissenso e delle rivendicazioni dei sindacati. Un modo per oppugnare dati e numeri pretesi oggettivi alle richieste di chi ci lasciava polmoni e vita, nel polverone Eternit. Dati e numeri che secondo i magistrati erano pura mistificazione: «È scientifica la scelta di escludere le postazioni più polverose dai punti di campionamento», ha detto Colace, sottolineando che non si facevano misurazioni se non dopo preavviso, dopo aver fatto le pulizie, e mai nei momenti critici, come per esempio quando (quasi tutti i giorni) andava in tilt l’impianto di aspirazione, o quando si facevano le pulizie o si frantumavano gli scarti secchi o dove si pulivano i filtri. E in qualche caso, come alla tramoggia del mulino Hazemag, se i valori risultavano troppo elevati invece di risolvere il problema si smetteva di monitorare. Secondo la Corte Suprema - ha poi sottolineato Guariniello - «non vale addurre errore o buona fede», non vale neppure invocare la «mancata conoscenza della legge in quanto c’è un dovere di informazione da parte degli imprenditori». A cui fa da contraltare il dovere di informazione e di formazione dei lavoratori. Non si può neppure dire che l’adozione delle cautele non fosse compatibile con il quadro economico dell’attività imprenditoriale: piuttosto che mettere in pericolo i lavoratori, si cessa l’attività. E neppure si possono «scegliere» gli interventi da effettuare scegliendo quelli più urgenti e compatibili con il bilancio dell’azienda, ha chiarito Guariniello sempre citando la Suprema Corte. E il quadro economico appare preponderante per Eternit secondo quanto riferito da un altro dirigente dell’azienda - Leo Mittelholzer - che aveva detto chiaramente al processo che a un certo punto l’amianto avrebbe anche potuto essere sostituito - come si era fatto in Germania o in Svizzera - ma sul mercato italiano non era conveniente e così si continuò a usare la micidiale crocidolite fino all’ultimo. Anche se un altro dirigente - Otmar Wey - aveva sottolineato che con l’avvento degli Svizzeri ci furono tante migliorie fu bandito dalla lavorazione delle lastre. «Tutto falso - ha detto Colace - ci sono prove che ancora nel 1980 veniva utilizzato se i clienti ne facevano richiesta per ottenere un prodotto “migliore”. Certo Eternit non diceva loro: “Guarda che è cancerogeno...”»- E dire che Guariniello aveva sottolineato come già negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso esistessero norme chiare che imponevano come primo atto di salvaguardia la sostituzione delle materie pericolose. Eternit invece di rispettare le leggi e investire in sicurezza investiva in mistificazione pagando un consulente come Robock che «si occupava - ha evidenziato Colace - non tanto di tutelare la salute dei lavoratori ma piutosto l’amianto dalle restrizioni e dagli ostacoli, dal medico americano Selikoff e da chi ne svelava la reale pericolosità».

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Veronica Spinoglio

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