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«Per il barone belga è tutto prescritto». Lo chiede il difensore Zaccone

Assoluzione per intervenuta prescrizione. È la richiesta formulata venerdì da Cesare Zaccone, difensore del belga Louis De Cartier, condannato in primo grado dal tribunale di Torino a 16 anni di carcere con l’altro imputato, lo svizzero Stephan Schmidheiny a 16 anni di carcere. De Cartier, secondo l’accusa, ritenuta fondata dal tribunale di primo grado ha gestito la multinazionale dal 1966 al 1972, prima di passare tutto nelle mani degli Svizzeri. L’intervento di Zaccone ha chiuso le arringhe dei difensori degli imputati e si tornerà dunque in aula il 6 maggio per le repliche della Procura Generale. Le parole di Zaccone non hanno convinto Luigi Ferrando, CISL «Gli sforzi dei legali non hanno messo in discussione l’impianto accusatorio sul quale si regge l’imputazione che, anzi, ne esce rafforzata. Il tentativo di dimostrare che Schmideiny e De Cartier sono stati vittime di disattenzioni o sottovalutazioni al più colpose, si è rivelato inconsistente e ciò ci fa realisticamente sperare in un verdetto d’appello molto aderente alla condanna, loro inflitta, in primo grado». E se da un lato Zaccone chiama il suo cliente fuori da ogni responsabilità sostenendo che contava poco o nulla all’interno del gruppo, e sottolineando che le conoscenze scientifiche dell’epoca non erano così consolidate dall’altro non esclude la possibilità di dare luogo a risarcimenti - presumibilmente in sede di causa civile - ed esaminando caso per caso. Con tempi e costi in grado di scoraggiare vittime e famiglie già pesantemente provate da una storia tragica di lutti e morti che a Casale l’hanno scritta i padroni dell’Eternit. Per sapere che l’amianto uccideva dunque non bastava la denuncia urbi et orbi di Selikoff di metà Anni Sessanta, che aveva fatto presente che i limiti previsti dall’industria e qualunque limite fosse stato imposto, anche molto più restrittivo erano forse utili per la prevenzione dell’asbestosi ma non del tumore? La ricerca di metà anni Cinquanta che collegava cancro al polmone e amianto? Occorreva perseverare ben sapendo che l’amianto causava una molteplicità di forme tumorali (laringe, ovaio,tumore, pleura etc. etc.)? Bisognava procedere non per ragioni di scienza medica ma per prove ed errori, per dimostrare con centinaia, migliaia di morti dove stesse il torto e dove la ragione scientifica? E 50 più tardi dopo davvero basta lomitarsi a dire: «Non ho colpa, non lo sapevo?...». Anzi, peggio : «Si sapeva ma non era sicuro?». Non c’è nessun obbligo alla cautela per i baroni? Perché? Perché la strage dagli avìti castelli è una storia lontana, l’eco sbiadito di uno strazio che i signori dell’amianto hanno sempre considerato come un indistinto pigolare?

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Veronica Spinoglio

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