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  • 02 agosto 2007
  • Casale Monferrato

I vertici dell'Eternit sapevano, il disastro è doloso. Si va verso il rinvio a giudizio di Schmidheiny e de Cartier

Processate i responsabili delle morti, tante, troppe, causate dall'amianto. Raffaele Guariniello ha chiuso la lunga indagine con la quale ha cercato di fare chiarezza sulla vicenda forse più dolorosa, crudele e cinica che ha colpito la comunità della città di Casale insieme a tante altre, una vicenda dove l'odore dei soldi ha contato più del profumo della vita, dove tanti hanno pagato con la morte l'inganno di quanti offrivano un lavoro, tacendo che al tempo stesso si sarebbero presi la vita. Perché a loro conveniva così... E hanno causato un danno ambientale che ha poi colpito - e continuerà a colpire ancora chissà fino a quando - anche chi all'Eternit non ci ha mai lavorato. Duemilanovecentosessantanove le vittime in tutto, tra morti e malati, 482 le persone che a Casale si sono ammalate senza avere mai avuto a che fare con la fabbrica della morte. Centinaia di morti che ora, attraverso i capi di imputazione formulati da Guariniello chiedono giustizia, chiedono che chi ha scientemente speculato sulla vita di tante persone paghi. Il punto è proprio questo, secondo l'accusa, la consapevolezza delle conseguenze che la lavorazione dell'amianto aveva sulla salute di chi lo lavorava e la mancanza, oltre tutto, di adeguate misure di prevenzione. Due gli indagati: Stephan Schmidheiny e Jean-Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne. I potenziali capi di imputazione sono disastro doloso e omissione dolosa di norme antifortunistiche. Erano loro - scrivono nell’atto Guariniello e i pm Sara Panelli e Gianfranco Colace – gli «effettivi responsabili della gestione della società». Stephan Schmidheiny, 60 anni, ha ceduto anni fa quanto restava dell’impero Eternit: 20 stabilimenti sparsi nel mondo che contavano in tutto 20 mila dipendenti. E si è ricostruito una immagine di ambientalista, sostenitore dello sviluppo eco-compatibile. È stato consigliere dell'ex presidente degli Stati Uniti sui Bill Clinton sui temi ambientali. Il suo legale ha dichiarato agli organi di stampa che «è un obiettivo sbagliato. Non ha mai gestito gli stabilimenti italiani. E ha sempre dato impulso a misure di sicurezza nell’ambito di tutto il gruppo, dando corso a importantissimi investimenti». Ma la Procura di Torino si basa proprio sulla tesi opposta, tesi fondata sulla ricostruzione effettuata da Guariniello e dai suoi pm sulla base di documenti, che comprendono anche lettere di Stephan Schmidheiny agli amministratori del gruppo. Documenti che riguardano le disposizioni sull’organizzazione del lavoro, sui sistemi di protezione della salute dei lavoratori, l'eliminazione o meno l’amianto dal ciclo di produzione e in base ai quali l'accusa tende a dimostrare che Schmidheiny è stato al vertice della multinazionale dal 1972 sino a dopo la chiusura degli stabilimenti italiani (inizio anni 80). E l'avvocato Maria Grazia Napoli, dello studio Bonetto di Torino, che fa parte del collegio legale che tutela le vittime dell'amianto, esprime «soddisfazione per il lavoro svolto dalla Procura» e l'auspicio che finalmente si possa fare un passo avanti verso la giustizia. I numeri delle morti causate dall'Eternit sono sempre stati impressionanti tanto che in passato la vicenda era stata definita dal senatore Lucio Libertini, uno dei primi a iniziare la battaglia contro la polvere killer in sede parlamentare, «la più grande strage sul lavoro». Che oggi è diventata la più grande vertenza d'Europa, anche se – ha più volte ribadito Bruno Pesce, coordinatore del Comitato vertenza amianto è il classico confronto fra Davide e Golia. Numeri definiti «spaventosi» dallo stesso Comitato Vertenza Amianto che aveva un quadro assai meno drammatico di quello messo a fuoco dai periti della Procura e che dimostrano – dice Pesce - «una strage di dimensioni inaudite». Una vertenza complicata, sulla quale peserà anche l'indulto e una legislazione imperfetta che comporterà la prescrizione, probabilmente, per moltissimi casi, perché sono trascorsi i termini di legge, anche se, ha spesso evidenziato il comitato, era impossibile interrompere i termini prima che si verificasse la malattia, che ha tempi di incubazioni di 20, anche di 40 anni, e in assenza della individuazione dei responsabili. Una indagine complicata – dicevamo - dall'indulto: «Ai legislatori – dice Pesce in proposito – chiediamo che come hanno avuto il coraggio di fare un indulto di inaudita gravità, un fatto che si è verificato per la prima volta nella storia della Repubblica, così abbiano il coraggio di affrontare il problema della giustizia, per garantire alle vittime l'accertamento della verità». Per il rinvio a giudizio vero e proprio occorrerà attendere ancora qualche settimana. Dal momento il cui gli indagati hanno ricevuto la notifica ci sono infatti 20 giorni di tempo per presentare documentazioni o atti. Dopodiché l'indagine preliminare si ritiene conclusa e il pm può chiedere il rinvio a giudizio. Sarà poi il gip che dovrà poi procedere con una possibile udienza preliminare e – teoricamente nel giro di altri 15 giorni – decidere se accogliere la richiesta del pm. Entro l'autunno gli indagati potrebbero diventare imputati. Nella foto la demolizione della "fabbrica della morte" nel marzo 2006

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