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Gli emigranti italiani in Francia tra Ottocento e Novecento

Il caso di Lino Ventura - Di R. Coaloa

Lo storico casalese Roberto Coaloa parteciperà alla festa di fine anno scolastico del CPIA, il prossimo giovedì 31 maggio (dalle ore 18, in via O. Capello, n. 3, Aula Magna), con una conferenza sul tema delle migrazioni. Un occasione per riflettere, nell’edificio dedicato a Luigi Hugues, sul nostro territorio oggi, al suo futuro, con le comunità di accoglienza e le scuole.

Il titolo della relazione di Coaloa è: «Gli emigranti italiani in Francia tra Ottocento e Novecento. Il caso di Lino Ventura». Anticipiamo e riassumiamo l’intervento di Roberto Coaloa, storico e scrittore, collaboratore delle pagine culturali di vari quotidiani italiani, come Il Sole24Ore e Libero, autore del volume «Ascesa e caduta di una stella. La vita e i film di Lino Ventura» (La Lepre Edizioni, in uscita a metà giugno in libreria).

Ricordare le tante storie dei nostri emigranti è utile per denunciare i segni di paura e di insicurezza che talvolta rasentano il razzismo e la xenofobia, spesso cavalcati da correnti ideologiche e falsati da un’informazione che deforma la realtà. Ripercorrendo le vicende degli emigranti italiani in Francia, ad esempio, ricordiamo che siamo stati - in tempi recenti - un popolo di emigranti vittime di odio razzista.

Emblematica è una storia di fine Ottocento, quando, nel Sud della Francia, un numero imprecisato di operai nostri connazionali furono linciati dai francesi, inferociti contro chi gli “rubava” i salari. A quell’epoca fu un fatto che fece scalpore, se ne parlò a lungo in giornali non solo europei. Il massacro di Aigues-Mortes del 17 agosto 1893 costò la vita a nove operai italiani; ci furono anche quattordici dispersi, quasi sicuramente ammazzati. Il fatto, nato da un banale incidente, accadde nella città francese delle memorie medievali di San Luigi, diventata nei secoli la terra di produzione dell’oro bianco: il sale. Il lavoro nelle saline era durissimo; nell’Ottocento vi erano impiegati soprattutto operai emigrati dall’Italia, in particolare dal Piemonte, che subivano il razzismo di quelli d’oltralpe.

I francesi del Midi avrebbero voluto cacciare via i piemontesi, chiamati con disprezzo pimos o christos, per la facile abitudine alla bestemmia; anche una volta naturalizzati, gli immigrati italiani potevano ironicamente essere qualificati come Français de Coni (francesi di Cuneo). Ad Aigues-Mortes fu utilizzato il termine ours (orso) per designare l’italiano, un termine che oltre al razzismo esprime anche le paure che la bestia evoca nell’immaginario collettivo.

L’immigrazione straniera, per l’operaio francese, era una delle cause della crisi economica che viveva la Terza Repubblica: era ben radicato nella mentalità popolare il cliché dell’italiano briseurs de salaires. Sono gli anni della belle époque, che nascondono sotto una festosa immagine di eleganza i panni sudici, fin de siècle, zeppi di miserie e turpi contraddizioni. I francesi pensano alla Revanche: dopo la disfatta di Sedan c’è l’odio per il Reich tedesco, alleato dell’Italia nella Triplice Alleanza. Sono gli anni dell’espansionismo coloniale con quel tanto di ideologia razzista che essa suppone. Gli italiani sono identificati come un popolo abituato a cantare e mendicare; compare lo stereotipo dell’accoltellatore, riservato agli italiani almeno fino al 1940, data dell’aggressione fascista, non a caso definita coup de poignard. 

Nel Novecento le cose non cambiarono per gli emigranti italiani in Francia, trattati spesso come animali. L’esempio ce lo offre la vicenda umana di quello che oggi è considerato dai francesi il più grande attore d’oltralpe. Cento anni fa nasceva a Parma Lino Ventura. Era il 14 luglio 1919. Lino, all’anagrafe «Angiolino, Giuseppe, Pasquale», è figlio di Giovanni e di Luisa Borrini. Il 7 giugno 1926, Luisa e il piccolo Lino, abbandonati da Giovanni, arrivano a Parigi. La vita del piccolo migrante è difficile. Il riscatto avviene con lo sport, dopo aver partecipato in Francia alla Resistenza. 

È strano notare come la figura di Ventura, una star del cinema mondiale, sia stata sinora completamente snobbata in Italia! Proprio lui che ci tenne a conservare la cittadinanza italiana, rifiutando le onorificenze francesi e accettando quelle italiane. Per un’incredibile bizzarria, infatti, solo nel Bel Paese, Ventura è considerato «un attore francese», mentre per il resto del mondo Lino è l’attore italiano per eccellenza. Nel 1953, Ventura fu scoperto da Jacques Becker (allievo di Jean Renoir) e diventò attore proprio grazie alla sua italianità: il regista aveva bisogno di «une vraie guele d’Italien», che incarnasse il rivale di Jean Gabin. Scelta obbligata, imposta dalla produzione del film franco-italiana. Touchez pas au grisbi fu il primo dei settantaquattro film di Ventura. Tanti, se pensiamo che l’attore morì a sessantotto anni, il 22 ottobre 1987. Sposato a Odette, padre di quattro figli, Ventura, dal 1966, si è impegnato ad aiutare i bambini portatori di handicap e le loro famiglie con il suo patrimonio, cercando fondi con manifestazioni pubbliche. Ha creato istituti di ricerca medica e l’associazione umanitaria «Perce-Neige», che sopravvive, dopo la sua morte, come Fondazione.

r. c.