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Giovanni Antonio Belly prese parte con Edmondo De Amicis all’epico assalto di Porta Pia

Intorno alle nove di mattina del 20 settembre 1870, l’artiglieria dell’esercito italiano al comando del generale Raffaele Cadorna aprì una breccia di circa trenta metri nelle mura della città, nei pressi di Porta Pia, consentendo ai due battaglioni di fanti e bersaglieri di entrare nella città eterna per trasformarla, come ebbe a dire in un celebre discorso parlamentare dell’ottobre 1860 Cavour, nella “splendida capitale del Regno italico”. Tra loro anche lo scrittore Edmondo De Amicis, autore del libro “Cuore”, all’epoca ufficiale dell’esercito italiano. Al suo fianco anche un colonnello monferrino, Giovanni Antonio Belly: “Primo tra i primi all’epico assalto di Porta Pia / guidando i suoi / bello e stupendo di su le barricate fumanti”, come si legge nell’epigrafe posta sulla facciata della casa dove visse gli ultimi anni della sua esistenza, che si concluse a Montiglio, dove riposa, il 6 ottobre 1881. In quella terra era venuto alla luce l’11 aprile 1820 da Vittorio e da Angela Vochieri, la figlia di Andrea, l’eroe alessandrino coinvolto nei moti del 1821, esiliato in Spagna, poi arrestato dalla polizia nel 1833, dopo il ritorno ad Alessandria, e condannato a morte mediante fucilazione il 22 giugno dello stesso anno. Giovanni Antonio Belly era stato un militare valoroso e intrepido, aveva partecipato a tutte le campagne del Risorgimento e alla guerra di Crimea, compiendo atti eroici, come attesta l’epigrafe di Montiglio nel 1911, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, “a ricordo perenne del prode cuor d’italiano e tempra di piemontese”. Numerosi gli encomi guadagnati dal colonnello Belly, tra cui la medaglia d’argento per la Breccia di Porta Pia e anche il Collare dell’Annunziata. Nel paese natale il 16 novembre 1865 condusse all’altare Iginia Corio, da cui ebbe otto figli, dei quali Vittorio ebbe il comando, insieme a Graziani e Gallina, di una delle tre colonne inviate in Africa Orientale, dove si meritò, come il padre, encomi solenni, una medaglia d’argento e la collana dei Santi Maurizio e Lazzaro. La famiglia, originaria di Belley, un tempo capitale dell’antica provincia del Bugey (nella regione del Rodano-Alpi), oggi è nota per aver dato i natali a Jean Anthelme Brillat-Savarin, autore della celebre “Fisiologia del gusto”. Trasferitisi, dopo la cessione di quelle terre alla Francia di Enrico IV con il trattato di Lione del 17 gennaio 1601, i Belly restarono sempre fedeli alla dinastia sabauda, che seguirono nel loro sviluppo storico, rivestendo ruoli importanti di natura militare, forense e giudiziaria. Tra loro merita un ricordo Pietro Belly, nel 1762 direttore del distretto delle miniere sarde, ricordato come autore del progetto urbanistico di Calasetta nell’isola di Sant’Antioco, in occasione del rientro dei cittadini dell’isola di Tabarka in Tunisia nel 1770, e suo figlio Giuseppe che fu a fianco del viceré come primo presidente di Cassazione in Sardegna. Dionigi Roggero UNA FAMIGLIA "STORICA" IN UNA CASA ANTICA Suonano i rintocchi delle undici dall’alto campanile della parrocchiale quando, sfiorando il castello turrito (citazione per gli affreschi d'alta epoca nella cappella), per ripide strade, arriviamo a piazza Belly accompagnati dal nostro personale "Virgilio", Francesco Ciravegna, responsabile dello Iat di Montiglio e anima del turismo in questa zona (volontariato puro, lo segnaliamo al ministro Brambilla). Ci ricevono all’entrata-giardino della loro casa Matilde e Vittorio Belly. Dalla balconata (nasce sui bastioni) il panorama è stupendo, sulla destra (bisogna sporgersi un po') il castello con le rosseggianti edere che salgono sulle mura, più avanti il campanile di Piovà Massaia (un giorno faremo un "Viaggio d’autore" su un librone acquistato al mercatino di Moncalvo poi andremo a trovare il Tom Cerrato) Castelnuovo Don Bosco, Carboneri, Cocconato.... Una bella casa, originaria del Cinquecento, comprata 1870 dal nonno Angelo. In casa, una bella casa, molti i ricordi. La famiglia è originaria dell’Alta Savoia dell’Oltre Rodano, col nome de Belly. Vediamo nello studio al primo piano (scaletta ripida di una volta) il ritratto di Giovanni Antonio. “A Porta Pia il mio bisnonno colonnello comandava l’assalto appoggiato ad una pianta, un aiutante lo allarma i cecchini stanno sparando, su di noi, la risposta è glacialle ‘le pallottola sanno che ho famiglia’”, testimonia Vittorio, il nostro cortese anfitrione. E’ firmato Enrichetta Ferrando 1882. Altro quadro, quello di Vittorio, figlio di Antonio, un vice di Badoglio all’entrata in Adis Abeba circondato da alcuni ricordi africani (il suo ritratto o una riproduzione non starebbe male al museo di Grazzano, lo diremmo al presidente Allemano). Da aggiungere, sinonimo di schiena dritta, che diede le dimissioni nel 1938, alla promulgazione delle leggi razziali. Ci fanno vedere anche le foto di una rievocazione storica che riguarda Calasetta, in Sardegna, dove Pietro Belly, chimico, gestiva le miniere di Montepoli, con la scoperta di materiale con fibre d’argento. In questa famiglia storica, che meriterebbe un libro con albero genealogico, figura anche un pittore di battaglie, cugino del bisnonno, con quadri a Genova, Alessandria e Novara. Una famiglia che per fortuna continua grazie ai figli di Vittorio, Giovanni e Maria Vittoria. Gran finale (golosi siamo) con caffè e cioccolatini (fatti in casa, grazie) a suggello del proficuo incontro e usciamo sempre tra il fragore delle campane (di mezzogiorno) Sull'attenti leggiamo la lapide sulla piazzetta posta dai concittadini a “ricordo perenne del prode cuor italiano e tempra piemontese” e compiva “gloriosamente” il suo “sogno di patriotta e la sua carriera di soldato in tutte le campagne del nostro riscatto intrepido e animoso sempre ebbe combattuto nel ‘48, nel ‘49, alla Crimea, nel ‘59-60-61-66 sino al fatidico 20 settembre 1870 quando alla patria tornava la grande madre di nostra gente Roma”. Luigi Angelino FOTO. Vittorio Belly (a sin.) e Ciravegna dalla balconata sulla valle di casa Belly; ritratto e cimeli africani di Vittorio Belly, nonno del nostro anfitrione; piazza Belly, sullo sfondo la casa natale e la lapide che ricorda Giovanni Antonio

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Marco Imarisio

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