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Ipotesi transazione Schmidheiny-Casale: respinta la prima bozza, si attendono nuove proposte. Non è stata resa nota la cifra, che però non è trattabile

«Riteniamo opportuno chiedere alla controparte di aggiornare la discussione su una eventuale transazione solo dopo che dal Tribunale di Torino sarà stata emessa la sentenza». È questa la posizione dell’Associazione Familiari Vittime dell’Amianto di cui si è fatto portavoce ieri Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto in vista del primo appuntamento in cui è stata ufficializzata l’esistenza di una proposta avanzata dallo svizzero Stephan Schmidheiny, accusato con il belga Louis de Cartier nel Processo Eternit di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antifortunistiche. «Fissiamo un incontro dopo la sentenza in modo da vedere che non si tratti di una proposta soltanto strumentale, ma che sia dettata solo dallo spirito filantropico, dalla volontà di farsi carico di una tragedia collettiva, di una situazione sociale così pesante. «E che non sia invece una semplice manovra per rompere il fronte e poterla spendere in ambito processuale». La «riunione delle brioches» Non è la prima volta che Schmidheiny prova la strada della conciliazione stragiudiziale. Nel 2007 aveva fatto una proposta alla Associazione Familiari: 70-75 milioni di euro per garantire l’impossibile, e cioè che non ci fossero più iniziative e rivendicazioni giudiziarie nei confronti dello svizzero. «Era il 20 gennaio - ricorda Pesce - e ci recammo nello studio di un legale milanese, c’erano due enormi vassoio di brioches... «Ci fecero quella proposta che apparì più che altro come una provocazione, forse per poter dire in tivù in Svizzera che l’associazione non aveva fatto l’interesse delle vittime...», I milioni Adesso i milioni sarebbero molti meno - una ventina - e nel tardo pomeriggio di ieri la proposta di transazione è stata al centro di una Conferenza dei Capigruppo del Consiglio comunale di Casale, convocata dopo che la notizia era filtrata grazie a indiscrezioni giornalistiche. Sarebbero, perché anche se l’avvocato Enrico Dagna, rappresentante del Comune che ha trattato con uno dei legali di Stephan Schmidheiny, ha detto che la somma è l’unico argomento su cui non c’è spazio di trattativa la cifra precisa non è stata dichiarata: 15, 18, 20 milioni? Non si sa... Dagna ha tenuto soprattutto a precisare le forti difficoltà e i costi elevati della procedura da seguire per arrivare a incassare, partendo dall’assunto che il Comune - così come tutte le altre parti civili presenti nel processo - si sono costituite per ottenere un risarcimento pecuniario. Concetto ribadito anche dal sindaco Demezzi: «Occorre decidere non solo con il cuore ma anche con il cervello», e tenere presente che comunque «l’unica cosa che si può ottenere nell’ambito del processo è il vil denaro...». Nove milioni di costi Il Comune ha in sostanza sopportato costi pari a nove milioni di euro e ha quantificato ulteriori spese avanzando al processo una cifra pari a 30 milioni di euro nei confronti di entrambi gli imputati, rinviando alla sede civile i cosiddetti danni non materiali, come per esempio il danno di immagine e - per esempio - la frustrazione dei compiti nei confronti dei cittadini: uno fra tutti il ruolo del primo cittadino in capo quale massima autorità sanitaria. Un danno difficile da quantificare ma certamente rilevante. L’uovo o la gallina? Partendo da questo assunto la scelta parrebbe addirittura scontata, in quanto - banalizzando - appare come il classico dilemma fra l’uovo oggi e la gallina domani. Ma alla base del dilemma si pongono il dovere e la funzione di chi svolge un incarico nella pubblica amministrazione che - è stato ribadito più volte deve valutare le cose in modo non emotivo ma pragmatico. E quindi - ha detto senza incertezze Emanuele Capra, Lega - «non dobbiamo identificarci con la singola vittima, ma fare un calcolo costi-benefici». E valutare se la cifra offerta è adeguata a ristorare i danni subiti, vale a dire «le spese per la bonifica, il danno di immagine, il mancato insediamento di imprese...». Su posizioni assolutamente opposte Carlo Caire, Nuove frontiere, che si è detto «perplesso e imbarazzato» e più interessato alle condizioni dell’accordo che alla cifra precisando la preponderanza dell’«aspetto etico» e la titolarità della vicenda non tanto agli amministratori ma all’intera città, alla comunità: «Questa cosa, sindaco, è più grande di lei...». Al Comune di Casale il compito difficile di conciliare l’esigenze di salvaguardare la dignità della città - ha sintetizzato Marco Botta, PDL - e l’interesse dei cittadini, senza cadere nella tentazione di evitare qualunque decisione, ma decidendo con la città e - ha aggiunto Maria Merlo - con grande attenzione alla comunicazione. Glissando sul... filantropo Una questione - quella dell’aspetto etico - su cui è parso di capire che la soluzione sarebbe il classico glissando; argomento che si starebbe cercando di evitare coinvolgendo non già l’imputato Stephan Scmidheiny ma le sue sue società, e in particolare quella stessa Becon AG che ha firmato l’accordo con Cavagnolo. Nell’intesa quindi non figurerebbe nessun «filantropo», in quanto a sottoscriverlo sarebbe una società e non una persona fisica. Inevitabile, ha ammesso l’avvocato Dagna, che Stephan Schmidheiny dichiari di non ritenersi in alcun modo responsabile, «ma lo affermerebbe lui...». Certo, ma il Comune ci metterebbe la propria firma, viene spontaneo annotare. Questione etica posta anche da Davide Sandalo (PD) che ha ricordato che già in passato erano state abbozzate trattative. «Mai coinvolto il Comune», hanno precisato il sindaco e Marco Botta. E sempre Sandalo ha posto un interrogativo fondamentale: «Come mai proprio adesso?». Soprattutto viene da aggiungere - se le difficoltà per ottenere il risarcimento anche in caso di condanna sarebbero tante come ha elencato il legale del Comune. E ancora: «Come verrà strumentalizzata questo eventuale accordo dai legali degli imputati?». Tanto che Fabio Lavagno (SEL) ha proposto di fare l’accordo - eventualmente - dopo la sentenza. E solo a fronte di una cifra ritenuta congrua. La risposta dell’avvocato è apparsa alquanto sibillina: da un lato ha detto che non c’è fretta né alcuna tempistica da rispettare, dall’altro che se bisogna firmare «è meglio farlo un minuto prima della sentenza che un minuto dopo». Il che significa che alla ripresa delle udienze gli avvocati potranno tecnicamente richiedere la parola, e tutto lascia pensare che a fronte di un accordo con un soggetto simbolo della lotta all’amianto come la città di Casale ciò avverrà lo faranno sicuramente. Anche se il vero obiettivo, forse, è scrollarsi di dosso una parte civile così importante in vista dei gradi successivi di giudizio, Appello e Cassazione. E allora forse bisogna anche interrogarsi se e come avrà un peso la presenza del Comune, la presenza della gente di Casale in quelle fasi processuali per ottenere che la condanna degli eventuali responsabili diventi definitiva. Effettiva. E con essa la giustizia che una «città martire» - e non per modo di dire - attende da troppo tempo.

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Marco Imarisio

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