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La storia di Sofia che ha scelto di festeggiare con i profughi

Fra le tante esperienze che si potevano compiere in questo Natale 2015, Sofia Pressiani non ha avuto dubbi e ancora una volta ha seguito il richiamo dell’aiuto verso il prossimo. Da Grazzano Badoglio è partita per una nuova trasferta all’insegna del volontariato, questa volta a fornire il proprio aiuto personale all’accoglienza dei tanti profughi che stanno sbarcando sulle coste delle isole elleniche dell’Egeo, provenienti dai Paesi orientali sconvolti da guerre civili e situazioni sociopolitiche di alta pericolosità. Sei lunghi giorni vissuti sui luoghi del dramma di migliaia di profughi in cerca di speranza e spesso vittime di approfittatori. La sua è stata una partenza indipendente e solitaria, sulla scia di una voce che prima del Natale si è fatta più forte. «Avevo previsto da alcuni mesi di dare il mio contributo sui luoghi dell’emergenza e, grazie all’appoggio della mia famiglia, mi sono concessa questa esperienza dal 16 al 22 dicembre». Sofia Pressiani, ergonomo nonché consigliere comunale grazzanese, aveva selezionato uno dei fronti “caldi” per i flussi migratori: le isole greche. Ma solo all’ultimo è giunta la scelta finale per Chios, isola distante soltanto otto chilometri dalla costa turca e interessata nelle ultime settimane da sempre maggiori sbarchi. I numeri dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati parlano da soli: oltre 115 mila arrivi dall’inizio dell’anno fino al 22 dicembre nella sola isola di Chios con una media di arrivi giornalieri di circa 780 persone nel mese di novembre con un crescente flusso di bambini e donne rispetto alle prime ondate costituite prevalentemente da uomini. È segno che la fuga dalle bombe sta diventando generalizzata. «Al mio arrivo la situazione si presentava abbastanza tranquilla per via del mare mosso ma appena le condizioni sono migliorate si è avuto un picco di arrivi di ben 1890 persone nella sola giornata del 20 dicembre». L’accoglienza Sofia si è occupata di due mansioni, una diurna e l’altra notturna. «Di giorno, con la luce, gli sbarchi sono rari e i volontari come me ne approfittano per lavorare nel magazzino e sistemare il vestiario asciutto raccolto da tante associazioni in base alle diverse misure. Quando il sole cala inizia invece il monitoraggio delle coste per rintracciare i gommoni in avvicinamento. Più che vedersi, si sentono - confessa Sofia - in quanto riecheggiano urla di tensione mista a gioia nel buio del mare dicembrino: è il momento più pericoloso in quanto i gommoni possono incontrare roccioni e la brama di toccare terra può giocare rischi anche fatali. Sui gommoni viaggiano circa 40-50 persone a bordo fra i quali anche donne con bambini piccoli o in stato avanzato di gravidanza e spesso le imbarcazioni vengono lasciate al largo dai trafficanti per non essere individuati. E così i migranti scendono spesso con l’acqua ancora al collo. Dalle facce capiamo quasi sempre la provenienza. In Grecia vengono accettati solo siriani, iracheni e afgani: i primi hanno pelle e occhi più chiari e parlano solitamente inglese. Molti di loro non sanno dove si trovano ma tutti hanno cellulari di nuova generazione. La prima esigenza è quella di fornire loro vestiti asciutti». Le condizioni dei viaggi che Sofia racconta si descrivono da sole: «I trafficanti dotano i profughi di equipaggiamenti proporzionati al loro esborso: quello che si sa è che il viaggio su gommone privo di guidatore costa normalmente sui mille euro a persona (anche per i bambini) per i siriani e 800 euro per iracheni e afgani. Se si vuole spendere meno si può partire nei giorni di mare mosso mentre si vuole essere più sicuri si può fare il viaggio con il trafficante a bordo che li accompagna in un luogo più sicuro e con kit di sicurezza più perfezionato. Dopo un po’ di giorni i flussi cambiano zona in modo da aggirare eventuali controlli frontalieri. Anche sul posto c’è chi se ne approfitta: c’è chi trascina via i gommoni cercando di asportare il motore per una successiva vendita incurante dei profughi ancora in fase di soccorso». Cosa più ha colpito Sofia è che molti dei migranti non sanno realmente a cosa vanno incontro. «Una ragazza mi diceva che sarebbe arrivata da amici in Svezia sette giorni dopo senza conoscere la ben più lunga trafila: ovvero il trasporto con bus (pagato dagli stessi profughi) a Tabakika (qui la registrazione frontaliera) poi col ferry ad Atene per essere inviati al centro di Idomeni al confine con la Macedonia». Da lì in poi, burocrazia e frontiere permettendo, le successive tappe. Per i volontari anche il difficile compito di intuire eventuali episodi di traffico di documenti e bambini o infiltrazioni pericolose. «Sono carenti le calzature e il cibo ma - aggiunge Sofia - ci sono tanti volontari attrezzati e coraggiosi che ho conosciuto e con i quali ho collaborato come i norvegesi dell’associazione “Drop in the Ocean” o gli svizzeri di “Life line”». «Un vero regalo di Natale» Per Sofia si conclude un biennio caratterizzato da ben sei esperienze umanitarie nel mondo: la penultima al confine turco-siriano e prima ancora, per ben due volte, presso un orfanatrofio in Transilvania, nei capi profughi palestinesi del Libano ed ancora per alleviare le condizioni di vita degli abitanti di un “bazurero” (discarica) in Nicaragua. È la sua stessa indole a suggerirle queste esperienze. «L’ho considerato - conclude Sofia - il mio vero regalo di Natale».

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