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Mesotelioma, altre tre ricerche del GIMe

La ricerca e le prospettive terapeutiche del mesotelioma. Sono gli argomenti che abbiamo trattato con il professor Giovanni Gaudino, docente di Biologia Molecolare della facoltà di Farmacia di Novara, al quale ci siamo rivolti per capire qual è il quadro internazionale della ricerca su questa patologia, che se nel mondo è ancora considerata rara nel Casalese assume le caratteristiche di una vera e propria pandemia con un fortissimo impatto sociale. Professor Gaudino, il mesotelioma oggi viene studiato o no? Sì, sono molte le ricerche che si stanno sviluppando a livello internazionale sul mesotelioma partendo dall’assunto che non esistono tumori incurabili ma solo più difficili da trattare e che il mesotelioma è senz’altro uno di questi. Ma non rischiamo di suscitare false speranze parlando di ricerca e di cura? No, anzi, negare la speranza è una crudeltà dal punto di vista umano e un errore dal punto di vista scientifico. Certo occorre descrivere le cose per quello che sono. E le cose come stanno? Oggi ci sono molti gruppi che studiano il mesotelioma. In Italia, per esempio, c’è il GIMe, Il Gruppo Italiano Mesotelioma. In USA il MARF (Mesothelioma Applied Research Foundation), ma ci sono organizzazioni nelle quali sono coinvolte più nazioni, come l’IMIG (International Mesothelioma Interest Group). Anche nella ricerca vale il detto “l’unione fa la forza”. È giusto informare i pazienti su tutte le possibilità di trattamento, caso per caso, senza atteggiamenti pregiudizialmente contrari. La scelta finale sulla strada da percorrere poi, naturalmente è personale, del paziente consigliato dal medico intendo, e va rispettata, sia che decida di rinunciare a qualunque trattamento sia che opti per una terapia sperimentale. Si è parlato spessissimo - sul nostro giornale - degli studi clinici in corso sul mesotelioma tra cui quello con Glivec e Gemcitabina. Sappiamo che non funziona su tutti i pazienti perché occorre la presenza di un determinato recettore, ma ci sono anche molti medici che si dimostrano assolutamente scettici, almeno a detta di pazienti e parenti che hanno vissuto questa drammatica esperienza. Prima di poter essere effettuati, tutti gli studi clinici devono essere approvati da comitati nazionali e internazionali. Esiste un registro mondiale degli studi clinici, anche consultabile su internet (sul sito www.cancer.gov del National Cancer Institute), che raccoglie tutti gli studi approvati. In questo registro compare anche lo studio del GIMe con Glivec e Gemcitabina. Questa è una garanzia che lo studio è riconosciuto ufficialmente e internazionalmente a riprova della sua attendibilità e che quindi non è «roba da stregoni». E a che punto siamo con questo studio? Mi permetta una premessa. Dopo la fase necessaria di ricerca in laboratorio, una terapia passa allo studio clinico, che si sviluppa in tre fasi: la fase 1 che verifica la tossicità del trattamento, la fase 2 che verifica l’efficacia del trattamento su un numero limitato di pazienti e la fase 3 che si sviluppa in numerosi centri clinici e che coinvolge un numero molto più ampio di pazienti. Il nostro studio su Glivec e Gemcitabina si trova in fase 2. E i risultati come sono? Abbiamo detto poc’anzi che è giusto fare informazione senza dare false speranze. Perciò non possiamo anticipare nulla su questo studio fino al suo completamento. Possiamo però dire che uno studio pilota condotto su un piccolo numero di pazienti (una ventina) ha dato buoni risultati. Il fatto che vi sia una attività di studio vivace è importante. Chi fa ricerca ne deve quindi tenere conto? E se sì in quale modo? Nella ricerca si pubblicano i risultati degli studi, proprio perché ci sia uno scambio di informazioni utili. Quindi, ben venga la vivacità se serve a evitare di rifare studi già condotti da altri, anche allo scopo di evitare di sprecare risorse che potrebbero invece essere indirizzate su studi davvero promettenti e che potrebbero pertanto portare un giovamento ai pazienti. Insomma il narcisimo intellettuale deve essere temperato dall’etica... Oltre a questo approccio clinico il GIMe sta svolgendo anche la cosiddetta ricerca di base? Sì, il GIMe sta portando avanti la ricerca su più livelli. La ricerca di base, quella che si fa in laboratorio - per intenderci - e la ricerca clinica, ovvero su pazienti. Fra questi due livelli c’è la cosiddetta «ricerca di trasferimento» che rappresenta l’anello di congiunzione fra le due. Quali sono i lavori di ricerca di base più importanti che sta sviluppando il GIMe? Ne citerei tre, oggetto di recente pubblicazione. Il primo è uno studio sui cosiddetti microRNA, particelle molto piccole di acido ribonucleico, che regolano l’espressione dei geni assumendo spesso il ruolo di oncogeni (geni che favoriscono il cancro) o oncosoppressori (geni che bloccano il cancro). Molecole che giocano un ruolo fondamentale anche nello sviluppo del mesotelioma. È la prima ricerca specifica su microRNA e mesotelioma, e in particolare è stato notato che se di due di essi sono presenti in misura ridotta la prognosi dei pazienti migliora. Gli scopi principali di questa ricerca sono identificare nuovi marcatori per la prognosi e nuove molecole bersaglio per la cura del mesotelioma. Il secondo studio invece che Il professor Giovanni Gaudino, durante l’attività di laboratorio cosa riguarda? Riguarda un farmaco in uso fin dagli Anni ‘60, la Taurolidina utilizzata tradizionalmente come antibatterico. Si è scoperto che blocca la crescita di alcuni tumori, provocando il cosiddetto «stress ossidativo» nelle cellule tumorali e ausandone la morte, senza danneggiare i tessuti sani. I nostri colleghi clinici, come il dottor Mutti per esempio, pensano che possa essere utilizzato come terapia del mesotelioma. Il lavoro è stato svolto interamente nel nostro laboratorio e il suo autore principale - Nicola Aceto - è un giovane e promettente ricercatore originario di Casale Monferrato, che sta svolgendo il suo dottorato presso un importante istituto di ricerca di Basilea. C’è anche una interessante ricerca sugli ormoni, mi era stato anticipato, che spiegherebbe come in molti casi le donne reagiscono meglio a questo particolare cancro. Un terzo importante studio, che abbiamo appena pubblicato, ha per oggetto gli estrogeni (i principali ormoni sessuali nelle donne, ma presenti anche negli uomini) e rivela che il recettore di questi ormoni svolge un’azione protettiva sui pazienti, in quanto arresta la crescita delle cellule del mesotelioma. I risultati di questo lavoro sono utili alla prognosi e suggeriscono anche possibili applicazioni terapeutiche innovative che dovranno essere sviluppate con prossime ricerche, già iniziate in laboratorio in collaborazione con un gruppo di ricerca irlandese. Quanto tempo passa dalla provetta alla terapia? Se si deve scoprire un nuovo farmaco, nei casi più fortunati una dozzina di anni, in media una quindicina. Tempi più brevi, ma sempre misurati in anni, se si scopre che farmaci anti-cancro già noti possono essere usati per curare anche il mesotelioma. Per esempio, nel caso della terapia Glivec-Gemcitabina, le nostre prime osservazioni che ci hanno portato in questa direzione sono dell’ormai lontano 2001. Ma non possiamo trascurare questo tipo di ricerca – quella di base - che apre scenari nuovi e potenzialmente importanti per il futuro. E qui torniamo all’assunto iniziale: non ci sono cancri che non possono essere curati e la difficoltà di trattarne alcuni non deve scoraggiare lo studio, deve invece far crescere l’impegno.

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