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INTERVISTA - La bambina napoletana che giocava con l'amianto

«Questa immagine sulla locandina mi fa pensare alla fotografia di quel bambino ebreo che alza le braccia in segno di resa. Sappiamo che si è salvato… Ebbene anche lei, signora, che da piccola giocava con la polvere di eternit, adesso ci ha portato un grande segno di speranza perché possiamo credere di riuscire a sottrarci al pericolo della malattia e della morte per amianto». Nell’atrio del Teatro Municipale dove ieri lunedì 28 aprile si è tenuto il convegno “I giovani e l’amianto” organizzato dal Balbo e dall’Associazione Familiari Vittime dell’Amianto, il preside dei Licei Gianni Abbate si è rivolto con queste parole alla signora Rosalia Gebbia Fava, la bambina della fotografia che è anche la copertina del libro di Giampiero Rossi La lana della salamandra. E la signora ha raccontato che la foto è stata scattata il 1° maggio del 1953 nello stabilimento Eternit di Bagnoli (Napoli) dove lavoravano i suoi parenti e che in quell’occasione apriva le porte ai figli dei dipendenti. D’altra parte la sua famiglia abitava nelle immediate vicinanze dello stabilimento, proprio nelle palazzine che si intravedono sullo sfondo, dietro il muro, e che sorgevano a pochi metri da un'altra fabbrica, l’Italsider. «Quindi un’infanzia piena di insidie ambientali e a danno della salute», ha commentato la signora Rosalia. «Il bambino a cavalcioni del tubo di eternit è mio fratello. Noi giocavamo sempre con la polvere di amianto e fingevamo che fosse borotalco». La signora ha in seguito lavorato all’Eternit dove ha trovato non solo il lavoro ma anche l’amore. Nel 1972, infatti, si è sposata con il casalese Enrico Fava che avendo funzioni di coordinamento fra le varie sedi Eternit del paese si era recato in trasferta a Bagnoli. Ottenuto il trasferimento nella sede di Casale Rosalia ha continuato a lavorarvi fino alla chiusura nell’84 ed è stata in seguito assunta alla Marietti. «Ho cominciato a sentire parlare dell’amianto come materia pericolosa già una trentina di anni fa, quando mio zio che aveva la mansione di versare l’amianto nelle macchine, era morto a quarantacinque anni con i polmoni letteralmente scoppiati, lasciando quattro bambini piccoli. Così io quando dall’ufficio scendevo nei reparti mi mettevo un fazzoletto vicino alla bocca nell’illusione di respirare meglio ma naturalmente non si poteva evitare di inalare la fibra killer». In seguito la sensibilizzazione sul problema è diventata maggiore. «Sapevamo che era pericoloso, ma che cosa potevamo fare? Era il lavoro, c’era la famiglia da portare avanti e poi si pensava che non dovesse toccare proprio a noi». Il tributo la famiglia l’ha pagato perché rispettivamente nel 2000 e nel 2003 sono morti i suoceri di Rosalia, Alessandro Fava e Teresa Ferrero, per le degenerazione dell’asbestosi. «Loro mi raccontavano sempre la storia dell’amianto e della nascita dell’Eternit. Io adesso cerco di dare il mio piccolo contributo, interessandomi ai problemi, partecipando ai dibattiti. Questa foto è arrivata in copertina per caso perché l’ho mostrata al segretario della Camera del Lavoro Nicola Pondrano e me l’hanno chiesta da mettere sulla copertina del libro che oggi, giornata mondiale delle vittime dell’amianto, verrà presentato a un incontro a Roma. Ne vorrebbero delle altre ma sono rimaste ai miei fratelli, a Napoli». Rosalia Gebbia vive dal 2000 a Cellamonte «per respirare aria pulita, di collina».

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