Articolo »

Mesotelioma, casi che fanno sperare. E a un paziente di Brescia il tumore è completamente sparito

Cinque anni fa aveva il mesotelioma. Poi il tumore è sparito. È il caso di un paziente in cura a Brescia, P.R., 56 anni. Nel 2006 la diagnosi e il trattamento standard, obbligatorio se si vuole poi accedere alle terapie sperimentali. «Ma alle cure tradizionali però non reagiva in quanto “chemioresistente”», spiega Luciano Mutti, presidente del Gruppo Italiano Mesotelioma. «Così si pensò di inserirlo nel trial con Gleevec e Gemcitabina e fu preso in cura dal dottor Gianfranco Tassi, anch’egli membro del Gime. Oggi, a cinque anni di distanza dalla terapia , non c’è mai stata nessuna ripresa di malattia, e il tumore è completamente scomparso. In termini tecnici si definisce “risposta completa”. Nessuna lesione visibile né alla Tac né alla Pet». Gleevec e Gemcitabina Il protocollo con Gleevec e Gemcitabina è il primo ad avere offerto qualche prospettiva di terapia innovativa e il 16 novembre - annuncia Mutti - è prevista una riunione con Novartis (l’industria farmaceutica che produce il Gleevec) con lo scopo di rinnovare la sperimentazione. Nonostante alcune buone risposte ottenute, infatti, il protocollo sperimentale ufficiale è stato vanificato - ritiene il presidente del Gime - dal fatto che uno dei centri coinvolti ha arruolato pazienti in uno stadio troppo avanzato di malattia ed ha effettuato trattamenti in modo inappropriato, con il risultato che la risposta statistica alle terapie è precipitata. «L’incontro con Novartis ha proprio lo scopo - dice Mutti - di ottenere il farmaco per un secondo protocollo che verrà svolto questa volta con centri più selezionati e controllati, sia nella selezione dei casi sia per il monitoraggio del trattamento, controllo che verrà effettuato tramite il centro Mario Negri, grazie al contributo della Fondazione Buzzi-Unicem». Il caso del paziente di Brescia è per ora assolutamente unico, ma ci sono altri risultati che aprono spiragli di speranza per una terapia efficace. Una paziente monferrina che - anche lei - non aveva reagito alla chemioterapia tradizionale e che ha avuto importanti giovamenti dal trattamento con il Gleevec e la Gemcitabina, che ha consentito di stabilizzare la malattia ottenendo - da alcuni anni - una buona qualità di vita. E poi un paziente lombardo sopravvissuto al mesotelioma per circa sei anni. «Pazienti di cui stiamo studiando il dna per capire quali siano le ragioni di questa positiva risposta», dice Mutti. La ricerca traslazionale La ricerca del Gime è la cosiddetta ricerca «traslazionale» (che potrebbe tradursi come applicativa) e che ha lo scopo preciso di incrociare i dati emersi dalla ricerca di base (quella «classica» che si fa in laboratorio con microscopi e vetrini) sui meccanismi biologici delle patologie e le conoscenze su nuove molecole farmacologiche, per la messa a punto di nuove metodiche di diagnosi precoce e terapia. Una ricerca importantissina e che rappresenta il versante forse più interessante per chi è già esposto a un rischio, in quanto è quella che può dare risultati nei tempi più brevi. Il protocollo Siena Quasi finito anche il protocollo di Siena diretto dal dottor Michele Maio e che punta su un trattamento mirato a rafforzare le difese immunitarie dell’organismo. «Mancano sei pazienti ed è chiuso, e qualora i dati fossero confermati, come protocollo efficace», dice Mutti. «Il trattamento funziona e faremo ora un secondo step in combinazione con la chemioterapia. «Riteniamo che così sarebbe potenziata la risposta immunitaria e che allo stesso modo l’effetto del chemioterapico risulterebbe a sua volta favorito dal trattamento somministrato a Siena». La collaborazione con gli USA Interessanti novità anche dalla collaborazione con la rete di studio e di sperimentazione attiva negli Stati Uniti: Michele Carbone alle Hawaii, Harvey Pass a NY, Raphael Bueno a Boston, David Sydraski a Baltimora. È stata messa a punto una nuova metodologia sperimentale - spiega Mutti - che consente di replicare il tumore di ogni singolo paziente sulle cavie. «Ciò permette di avere una “predizione” molto più certa passando da un 15-20% della sperimentazione in vitro al 60-70% di probabilità che il risultato si replichi identico nel paziente. È un importante passo avanti per quella che viene definita la “personalizzazione delle terapia” per la quale è stato chiesto un finanziamento al governo USA». In sostanza nel periodo in cui si effettuano le cure tradizionali la nuova metodica consentirebbe di sperimentare sulle cavie tutti i farmaci disponibili per testare la sensibilità di quello specifico paziente per il trattamento sperimentale successivo. «Dai dati disponibili su altri settori si è constatato che nel 60-70% dei casi la sensibilità del topo corrisponde a quella del paziente consentendo quindi trattamento più mirati ed efficaci. Ora stiamo cercando il sostegno di sponsor privati per contribuire al progetto americano con risorse aggiuntive e fare sì che vengano arruolati anche pazienti in Europa». La ricerca di base Prosegue poi la ricerca di base per individuare nuovi farmaci, studio che viene svolto all’Università di Novara. «In collaborazione con compagnia di Stoccolma «Karo Bios» si stanno svolgendo test sugli “agonisti” dei recettori per gli estrogeni. «I recettori buoni degli estrogeni (beta) riducono la proliferazione, mortificando la respirazione delle cellule tumorali che così diventano più sensibili ai farmaci», spiega Mutti. «Sono recentemente stati pubblicati dal nostro gruppo mentre altri gruppi hanno pubblicato risultati analoghi sul linfoma - che ha lo stesso tipo di recettori - e sul tumore delle vie biliari». Il fronte della genetica Un altro fronte di ricerca è quello relativo agli aspetti genetici. Il 2 dicembre si svolgerà un «Consensus Meeting» alle Hawaii a cui prenderanno parte Michele Carbone, Carlo Maria Croce, e lo stesso Luciano Mutti per valutare appunto qual è il ruolo della genetica per la comparsa del mesotelioma. «A noi interessa sapere cosa producono i geni alterati, le proteine anomale espresse dai geni anomali su cui si lavora per individuare il farmaco che le compensi. Proteine coinvolte nei segnali proliferativi e che possono anche determinare la resistenza alla chemioterapia» Sempre il 2 dicembre si svolgerà altra riunione sui micro-RNA per fare il punto sul più grosso progetto mai fatto sui tessuti di un centinaio di pazienti affetti da mesolioma. Lo studio è stato coordinato da Carlo Maria Croce - direttore del Dipartimento di Virologia molecolare, Immunologia e Genetica umana presso l’Ohio State University, è nella commissione che attribuisce il premio Nobel per la Medicina e aveva preso parte al convegno sul mesotelioma promosso a Casale nel 2009. I microRNA sono particelle molto piccole di acido ribonucleico, che regolano l’espressione dei geni assumendo spesso il ruolo di oncogeni (geni che favoriscono il cancro) o oncosoppressori (geni che bloccano il cancro). Molecole che giocano un ruolo fondamentale in tutti i tumori umani e con molta probabilità anche nello sviluppo del mesotelioma. Anche lo studio sui microRNA realizzato da Croce è nato dal contributo della Fondazione Buzzi.

Profili monferrini

Questa settimana su "Il Monferrato"

Marco Imarisio

Marco Imarisio
Cerca nell’archivio dei profili dal 1871!