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Farmaco anti-mesotelioma? Già in uso per la gotta e - secondo un ricercatore di Losanna - utile anche nelle patologie da amianto

Ricerche condotte a Losanna - in Svizzera - dimostrerebbero che bloccando preventivamente una molecola (chiamata interleuchina-1) nelle persone che hanno subìto un’esposizione all’amianto si impedisce lo sviluppo di infiammazioni e di tumori conseguenti. La notizia è stata diffusa dalla Università di Losanna, cui fa riferimento il professor Jürg Tschopp, autore di uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista «Science». «Se venisse confermata nella pratica clinica darebbe una concreta speranza alle centinaia di migliaia di persone che in tutto il mondo sono stati in passato esposti all’amianto», evidenziano gli organi d’informazione elvetici che già alcuni mesi fa avevano diffuso la notizia. Tschopp, evidenziano i servizi giornalistici, vanta «una storia di successi scientifici. Nel 2002 aveva già identificato la molecola infiammatoria la cui produzione eccessiva provoca la gotta. E proprio grazie a questa scoperta scientifica si è arrivati ai medicinali attuali contro la gotta, la cui azione consiste nel bloccare l’interleuchina-1 , eliminando i sintomi in soli due giorni. «Ora il ricercatore ha dimostrato che il meccanismo relativo alle fibre di amianto e ad altre particelle pericolose per l’organismo umano è simile, e che l’interleuchina-1 è alla base della degenerazione cellulare che favorisce - anche a distanza di decenni - lo sviluppo di malattie amianto correlate, tra cui anche il mesotelioma». Notizia segnalata da una casalese La notizia è stata segnalato al nostro giornale da una farmacista casalese, Elisa Franco, che aveva appreso dello studio da Tg3 Leonardo e che ha poi contattato l’autore della ricerca. «Gli ho scritto spiegandogli la situazione di Casale - racconta - e lui mi ha risposto che andrebbe usato anche nei casi di asbestosi e mesotelioma, visto che la presenza dell’amianto scatena l’infiammazione e la produzione di interleuchina-1». Tschopp inoltre nella sua risposta evidenzia che il farmaco è disponibile nelle farmacie ospedaliere, cosa che la stessa Franco conferma dopo un controllo. Il farmaco è già disponibile «In Italia si chiama Kineret e viene utilizzato per la cura dell’artrite reumatoide e della gotta». Il costo è elevato, 300 euro per dieci fiale, e il problema sta nel fatto che si tratterebbe non di una terapia ma di una profilassi preventiva che potrebbe essere utile per tutti coloro che sono esposti al rischio. Vale a dire l’intera popolazione di Casale. Ma come e quando somministrarlo? Costi a parte non si può certo pensare di utilizzarlo a tempo indeterminato su una intera popolazione. «Si potrebbe mettere a punto un marker o comunque un sistema di verifica della presenza di Interleuchina-1 - dice la farmacista - e intervenire quando il livello si alza. Prevenendo così la formazione del tumore. Ma è tutto da verificare scientificamente, ed il punto è proprio questo - dice la farmacista - visto che Losanna non è lontana si potrebbe contattare il professor Tschopp e iniziare una collaborazione per collegare le ricerche scientifiche sulle patologie da amianto». In effetti la domanda sorge spontanea: se è riconosciuto il collegamento tra amianto e produzione di Interleuchina-1, così come la presenza di questa molecola con l’insorgere di patologie tumorali e se esiste un farmaco in grado di contenere questo fenomeno perché non fare una sperimentazione? Perché non si fa sperimentazione? «Senza contare che il farmaco esiste ed è utilizzato nella pratica clinica per altre patologie, e ci sono dunque informazioni sui livelli di tossicità, effetti collaterali e così via», evidenzia la Franco. Quello che manca è una verifica clinica. Tanto più che i tempi della ricerca sono lunghi - almeno una ventina di anni - a fronte di un picco di patologie da amianto atteso per il 2020 - dice la farmacista casalese - e se c’è una possibilità di intervenire è doveroso verificarla. Pare che a Casale nessuno lo sapesse «Ma pare che a Casale nessuno ne sapesse nulla». A tale scopo la Franco ha scritto alla Fondazione Buzzi che le ha risposto che «per non lasciare strade intentate coinvolgeremo un nostro valido capo progetto, PhD in Facoltà Universitaria di Farmacologia. In caso di notizie positive la informeremo nei dettagli». Prosegue la farmacista: «Ho anche contattato il centro di Ricerca Regionale, che però non è ancora completamente funzionante e mi hanno indirizzata al dottor Mancini. Anche lui mi ha detto che avrebbe raccolto documentazione e mi avrebbe contattata...»

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