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«Etex non c'entra! De Cartier non gestì l'Eternit»

Louis De Cartier, uno dei due imputati (l’altro è il magnate svizzero Stephan Schmidheiny) accusati dalla Procura di Torino di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antifortunistiche per le morti causate dall’Eternit? E per i quali la procura di Torino ha chiesto al termine della propria requisitoria 20 anni di reclusione? Non ha mai gestito l’industria italiana del cemento amianto: aveva ruolo solamente in una società finanziaria (la Compagnie Financière Eternit) che investì in Eternit «così come in altre società, con partecipazioni peraltro minoritarie, il 10% (contro al 26% della famiglia Mazza)». La Etex, una delle società che sono state chiamate a rifondere i danni causati dalla strage Eternit? Non ha nulla che fare con quella che - per conto dei belgi della famiglia Emsens-De Cartier - aveva investito negli Sessanta nell’industria dell’amianto, la «Compagnie Financière Eternit» - appunto - perché la originaria «C.F.E.» fu liquidata 30 anni fa... Sono alcuni dei capisaldi che l’avvocato Luigi Fornari , in rappresentanza di Etex Group, ha esposto ieri a Torino al Processo Eternit, giunto alla 55ª udienza e che è ricominciato dopo la pausa estiva proprio con le requisitorie delle società civilmente responsabili. La società - secondo la tesi della Procura della Repubblica che ha istruito la monumentale indagine per far luce sulle migliaia di morti causati dall’amianto dove hanno operato gli stabilimenti Eternit - è invece riconducibile al gruppo belga che (prima di quello svizzero) è stato a capo dell’industria amianto in Italia, così come in altre parti del mondo. Sono proprio queste società che - se gli imputati venissero riconosciuti colpevoli - potrebbero trovarsi a far fronte a consistenti richieste di risarcimento. Non meraviglia quindi che i legali si impegnino a ricercare norme e interpretazioni che chiamino i propri assistiti fuori da una vicenda che rischia di diventare un gorgo che può inghiottire enormi ricchezze, perché la strage dell’amianto, - purtroppo - durerà ancora a lungo. Ma secondo l’avvocato Fornari le richieste di danni non hanno alcun titolo per essere rivolte a Etex, oltretutto in un processo penale che non riguarda lesioni e omicidi - ha detto - ma un reato diverso: quello di «disastro». Non «permanente» (come sostiene la Procura) perché non il reato ma solo gli effetti perdurano, ha cercato di dimostrare Fornari, nel chiaro tentativo di spianare la via della prescrizione; tentativo perseguito anche con la tesi che il reato si consuma quando «le fibre impattano sull’organismo» e la prescrizione scatta perciò da quel momento... Resta da chiarire come e su chi possa rivalersi una persona danneggiata se non è stato individuato chiaramente un responsabile. E se - addirittura - non si è ancora neppure ammalato... QUESTIONI DI LANA CAPRINA Questioni di lana caprina che non fanno di certo guarire i malati che non trovano terapie efficaci per curare chi la polvere l’ha già respirata e può ammalarsi oggi o domani; che men che meno possono ridare la vita a chi l’ha già perduta per lavorare in nuvole di asbesto. E ancora: secondo Fornari (che più che difendere Etex pareva rappresentasse De Cartier, al punto da essere richiamato a un approccio più rigoroso dal presidente del tribunale Giuseppe Casalbore) non ci fu nessun dolo da parte del barone perché semplicemente lui non lo sapeva che di amianto si moriva, visto le conoscenze al massimo proponevano un dibattito, non delle certezze. Quanto al suo ruolo in Eternit - dice Fornari - si riduce a un periodo brevissimo, tra 1971 e 1972, per gestire «il disimpegno dei belgi» nel momento in cui entrano più decisamente in gioco gli svizzeri. Quindi stiracchiando un po’ di qua e un po’ di là da un lato si afferma che il reato di disastro è «momentaneo» e quindi non è permanente (sono gli «effetti» che fanno morire la gente, mica è colpa di chi ha inquinato...), ma anche che il disastro è un reato di pericolo per cui morti e malati non c’entrano... (ma se ci sono? non sarà che il reato è ancora più grave perché è reale e non soltanto potenziale? ) ; dall’altro non c’è il dolo perché il barone non sapeva che l’amianto faceva male. Anche se lo studioso americano Selikoff già a metà Anni Sessanta aveva detto chiaramente che l’asbesto faceva morire e che i valori limite di fibre nell’aria potevano prevenire l’asbestosi e non il tumore? Anche se il medico inglese Doll da metà anni ‘50 aveva stabilito il nesso amianto-tumore al polmone? Come dire che quando si raccolgono funghi e non si sa se sono velenosi, nel dubbio, ce li mangiamo lo stesso!? E come mai, una volta appresa la pericolosità dell’amianto, dopo averlo seminato in cortili, aie, scuole, asili, oratori - dove i bimbi giocavano e le persone lavoravano e vivevano - i belgi e l’imputato de Cartier (ha chiesto tante volta l’accusa in aula) non ha mai fatto nulla per limitare il rischio che loro stessi avevano creato spargendo ovunque la polvere assassina? Poca polvere - con i belgi - perché investirono per migliorare le condizioni di lavoro, ha sostenuto Fornari. Strano che Otmar Wey - direttore tecnico per conto degli svizzeri - non se ne sia accorto quando nel 1972 prende in mano gli stabilimenti, tanto da avere definito quella situazione: «catastrofale...».

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Marco Imarisio

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