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  • 18 aprile 2014
  • Casale Monferrato

Alla Morana per la cura dell’acqua solforosa: storia di un luogo che non c'è più

Un richiamo su Facebook mi ha sgrappato del cuore la Morana : il suo cimitero, vecchio di secoli e spazzato via dall’insensibilità degli amministratori pubblici a metà degli anni ’90, la fonte miracolosa dal dolce profumo di uova marce, le speranze ed i sogni che tante generazioni di casalesi lì hanno silenziosamente coltivato… +++ Nelle notti di luna , nelle notti in cui , sul cielo, i vagoncini della teleferica paiono tuffarsi nelle nuvole che si rincorrono, la Morana racconta la sua storia …, una storia lontana ma che potrebbe essere accaduta ieri o potrebbe rinnovarsi domani… Iniziava così un “pezzo” che ho scritto tanto, tanto, tanto tempo fa…, sulla “Caffettiera” , ancora quando nonne e mamme , al Ronzone, mi chiamavano “bel fiulin”. Nel frattempo sono scomparsi i vagoncini della teleferica carichi di calce che dondolavano sui campi aggrappati al cielo, sui quali sognavo di salire per andarmene fra le nuvole e le stelle; non c’è più il brontolio dei frantoi ed il fumo delle ciminiere; non ci sono più le donne che accompagnavano il lavoro -duro- dei campi cantando e ti guardavano sorridendo con i denti che brillavano come diamanti ed in quel momento era difficile capire da che parte fosse il sole… Non c’è più il cimitero dove, dal 1692 e fino ad inizio del novecento, riposavano i morti di quelle colline; e la vecchia “ciesa” è abbandonata da decenni. +++ Allora, la domenica mattina, da maggio a settembre, si andava alla Morana per la cura dell’acqua solforosa. “Un portento !” affermavano i “vecchi”, Si partiva attorno alle 6 e si tornava per la messa delle dieci e mezza. “Salta sulla canna” mi dice mio padre che alla canna della bicicletta ha già agganciato una borsa di tela cerata da un angolo della quale spunta il collo del “ doppio” di barbera; questo “collo” mi tormenterà per tutto il viaggio la coscia sinistra formandovi un vistoso, roseo “buco”. Appoggiato al muro del commestibile Biglia di Biglia & Biglia, ci aspettava- a cavallo della bicicletta- il Mario Artuffo, straordinario imbianchino e pescatore. “Andumma ?” “Andumma!”. Imboccavano quindi il sentiero lungo il canale che sbucava, dopo essere passato sotto gli archi del canaletto, subito dopo il ponte che unisce via XX Settembre a Via Oggero, davanti all’ingresso della Piemontese .Dall’altra parte della strada l’Eternit già sputa fuori dai ventilatori la sua impalpabile polverina bianca; dalle finestre del “ponte dei sospiri “ che unisce lo stabilimento al reparto delle vasche scavalcando il canale, giovani donne salutano mandando baci con la punta delle dita . Vedo il Mario che, alzando gli occhi , allargando una mano e scuotendo il capo, fa un cenno verso di me come per dire “Attenzione…, c’è nebbia…”. Fumavano le ciminiere e dovevi tenere gli occhi schiusi perché la polverina di amianto ed il pulviscolo delle cementerie ti forava occhi e viso. Ogni tanto, volgendosi verso la collina, mio padre ed il Mario alzavano un braccio dal manubrio e salutavano le donne curvate –ma cantavano e rispondevano con larghi sorrisi- sui campi sui quali volavano i vagoncini della teleferica. All’altezza della chiesa parrocchiale ( per tutti: la “ciesa” dove il parroco don Cesare Grossetti stava dando l’ite missa est della prima messa) fermata/ rifornimento. Sulla destra-sotto alle cementerie di Bargero e della Milanese da cui saliva intenso il brontolio dei forni e dei frantoi- c’era una panetteria/commestibile dalla quale usciva un profumo inebriante di pane appena sfornato. “Vai Giuanin – mi diceva il Mario passandomi qualche biglietto da dieci lire- Sette biove e quattro etti di mortadella tagliata a mano…” “Poi rangiumma …”diceva mio padre rivolto al Mario che scuoteva la testa replicando “ Tu hai già messo il vino…”. “Al bunet, Giuanin…” sibilava mio padre , intendendo che dovevo togliermi il berretto passando davanti all’antico cimitero inondato dal sole e dal canto delle cicale. “Qui ci sono i nostri morti…rispettali… senza di loro non ci saremmo noi…” “Chi non c’è più…,ricordalo Giuanin..., i morti sono la nostra memoria…- sussurrava pensoso il Mario -le nostre radis…e chi non ha cuore per la memoria è un disgraziato senza futuro l Si può dare una lurda ad un vivo - ma non si può mancare di rispetto ad un morto…”. (Chi avrebbe immaginato che quel pezzo della nostra storia, della nostra memoria, e perciò della nostra vita , l’amministrazione comunale di Casale l’avrebbe abbattuto… Ora c’è un campetto di trifoglio…). Attorno alla fontana, che esalava un intensa puzza di uova marce, c’era già molta gente proveniente anche da Casale; alcuni scendevano i due gradini che davano sul fosso per prelevare l’acqua solforosa che sgorgava da un tubo di eternit.I più, seduti sul prato, preparavano con religiosa attenzione i sanguis; tagliata a metà la biova, la imbottivano con i friciulin o la mortadella, poi sovrapponevano le due mezze biove e le schiacciavano a sogliola in maniera che il sugo impregnasse per bene la mollica; quindi gustavano, con evidente gioioso languore masticando lentamente…. Mio padre ed il Mario alternavano qualche morso ad un , lungo, sorso di vino bevuto direttamente al “muso” … “Non c’è niente di meglio che bere al muso” commentava il Mario sfregandosi il dorso della mano sulla bocca e tirando un lungo sospiro Finita la colazione, mi passavano il “doppio”, vuoto. “ Non possiamo bere subito l’acqua perché, dopo questo pane e mortadella, ci farebbe venire le rane nella pancia…-dicevano- ma riempi il doppio che la beviamo poi a casa… Arsentlu ben, risciacqualo bene. prima…” Lo arsentavo bene, il doppio, e lo riempivo dell’acqua solforosa e miracolosa. Bravo Giuanin _ mi diceva mio padre infilando il doppio nella borsa di tela cerata; e , rivolto al Mario, “Vieni poi a casa mia a prendere la tua parte di acqua…”. “Si…” mentiva il Mario. A casa, mio padre posava il doppio con l’acqua della Morana sul davanzale della finestra. Dove giaceva intonso, per qualche giorno, fin quando mia mamma, stufa della “puzza”, lo vuotava nel lavandino. Non ho mai visto mio padre ed il Mario bere quell’acqua. Eppure han sempre detto ( fino a quando- prima mio papà e poco dopo il Mario- hanno salutato baracca e burattini) che faceva bene…; un portento. +++ Mi capita spesso di avvertire il profumo di quei friciulin e di quella mortadella e la puzza, ma anche quello è un profumo, di uova marce dell’acqua della Morana; e quella gioia che fioriva sui prati attorno alla fontana, e la serenità che animava quegli uomini . privati di gran parte della loro vita dalla guerra, ma che guardavano il futuro, ricordando i loro morti, con il cuore gonfio di speranza…

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