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La villeggiatura dell'Abate di Lucedio

Per due secoli, a partire dall’anno di fondazione dell’abbazia cistercense di Santa Maria di Lucedio (1123), la prima in Italia con Tiglieto, fino al 1310, quando l’imperatore Enrico VII confermò la proprietà, l’ampio patrimonio fondiario acquisito dai monaci fu organizzato e ripartito per unità a gestione diretta denominate “grange”, “domus” o “mansio”. E mentre i privilegi posseduti dal monastero venivano confermati dal marchese Teodoro di Monferrato, si verificava a Lucedio un cambiamento rilevante nella conduzione agraria con il passaggio dalla gestione diretta delle terre alla concessione in locazione, preludio al radicale mutamento gestionale verificatosi sotto la direzione degli abati commendatari intorno alla metà del Cinquecento. Formatosi intorno al nucleo originario di Montarolo, al confine con i possedimenti dell’abbazia benedettina di San Genuario, questo ingente complesso patrimoniale si estese ben presto anche al di là del Po, nell’attuale territorio del comune di Camino. Qui esistevano due località: Cornale e Gaiano, i cui possedimenti furono ceduti al monastero di Santa Maria di Lucedio il 28 marzo 1133 dal marchese di Monferrato Ranieri, il quarto successore di Aleramo con la moglie Gisella di Borgogna e il figlio Guglielmo. Pochi anni dopo, un documento del 1147 riportava il primo elenco delle grange cistercensi, tra cui compare anche quella insolitamente situata in collina di Gaiano, successivamente confermata nel 1158 dal marchese Guglielmo il Vecchio e nel 1183 da Bonifacio I di Monferrato. Nel frattempo, con l’investitura dei marchesi Scarampi di Camino, scoppiarono liti e sorsero controversie secolari per il possesso di Gaiano, contesa ai monaci di Lucedio, ma poi a loro assegnata nel XVI secolo dall’Abate commendatario. Le tre donazioni aleramiche erano ancora ricordate nel 1711 dal segretario ducale Giacomo Giacinto Saletta che, descrivendo la località di Lucedio, ne sottolineava l’importanza sul piano politico ed economico per il monastero. Ma, col passare del tempo, la grangia di Gaiano perse l’originaria funzione, diventando solo più un luogo di villeggiatura degli abati, come ricordano gli storici settecenteschi Jacopo Durandi e Giuseppe De Conti. La notizia trova conferma anche nel libro di Giuseppe Niccolini “A zonzo per il Circondario di Casale Monferrato” che nel 1877 annotava: “Andammo pure a Gaiano e, posseduto dal sig. Malinverni da Vercelli, per visitare l’antica villeggiatura degli Abati di Lucedio, e la ricca e preziosa sua biblioteca, se questa fosse aperta”. Infatti, dopo la soppressione degli ordini monastici durante gli anni rivoluzionari, la grangia di Gaiano (dotata di 196 moggia di terra fiscalmente immune) era passata di proprietà del nobiluomo Giovanni Maria Magrelli di Ottobiano dimorante a Casale Monferrato (1796) e il 29 gennaio 1823 al figlio giureconsulto, Giacinto, noto per la costruzione del castello di Villadeati. Un’ultima sorpresa dall’archivio Migliau: una vecchia cartolina scritta da Roma attesta che la magnifica villa Gaiano fu donata dal conte Luigi Magrelli alla nipote Maurina Cotti Caccia, che nella cappella settecentesca sposava Giovanni Antonio Malinverni, cittadino di Vercelli. Dionigi Roggero I sotterranei Partiamo per Gaiano. ‘‘Battezziamo’’ una macchina nuova la quarta da quando (1993) iniziammo questi viaggi (per la ‘storia’: Opel Vectra, Alfa 164, Daewoo Elegance oggi Chevrolet Cruze). Da Casale alla periferia di Trino, a sinistra, ponte sul Po, salita dribblando ciclisti, poi ancora a sinistra (via cascina Gaiano). Strada sterrata ed eccoci nel grande complesso che da una parte guarda vigneti ordinati e il castello di Camino (tra il verde), dall’altra il Po. Nel cortile ci ricevono i proprietari: Luca Migliau con la moglie Graziella Della Valle. Il nonno di Migliau, Italo, aveva acquistato Gaiano nel 1935, dai Malinverni, era biellese, direttore del trenino Biella Oropa e Mucrone, l’origine della famiglia è ebraica, proveniente dal Perigord in Francia. Ingresso da un rosso portale in mattoni e siamo subito in un’altra epoca nel lungo corridoio delle celle dei monaci (ci ricorda quello di un’ala della Baronino di Casale). Una pausa in giardino per ammirare e riprodurre antichi documenti come una stampa del Cignaroli che raffigura il castello di Camino. Poi visitiamo la chiesetta, in una conchiglia la data: 1764. All’ingresso uno stemma da individuare. Il campanile triangolare fa pensare al Guala i proprietari ci parlano invece disegni attribuiti a Scapitta. Passiamo nel secondo cortile, era il vecchio ingresso attraverso il parco. La facciata è impreziosita da due meridiane firmate Mesturini. Il pavimento è a scacchiera bianca e nera. Vediamo gli archi delle passeggiata coperta dei monaci sulla valle (come da vecchia cartolina), oggi gli archi sono in parte tamponati. Torniamo sui nostri passi. Saliamo al primo piano e finiamo nella stanza del priore con letto a baldacchino (in realtà una suite con anticamera e bagno) è al centro di un corridoio dove si affacciano altre celle. Scendiamo nei sotterranei. Scale e scalette, buio illuminato dalla pila di Migliau. Vediamo la porta del soccorso che attraverso una lunga galleria portava all’esterno del complesso segnato da un oculo luminoso. Era usata dai partigiani che qui si rifugiavano ma era un sollievo anche per Italo Migliau. In un piccolo cortile ecco i resti di un loggiato che sotto ospitava il bozzetto della vercellese tomba Malinverni (tra i proprietari di Gaiano, vedi articolo a fianco). Il telefonino ci richiama a Casale, usciamo con rimpianto da questo angolo di Paradiso. Luigi Angelino Luigi Angelino

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