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L'INTERVISTA / Piano Amianto, con poca ricerca! La magna carta “nasce vecchia” e “non punta sulla prevenzione”

Il Piano Amianto presentato lo scorso aprile a Casale sarà davvero la strada per portare a soluzione il problema della ricerca di nuove terapie per le malattie asbesto correlate? O almeno: è un reale strumento di coordinamento delle realtà più avanzate che si occupano di ricerca? Ne abbiamo parlato con Consolata Buzzi, presidente della Fondazione Fondazione Buzzi Unicem, da anni impegnta a sostenere e stimolare gli studi di terapie più efficaci per il mesotelioma pleurico. La Fondazione proprio questi giorni ha deciso di prendere ufficialmente posizione sulla vicenda con un documento che è stato reso pubblico in questi giorni sul sito internet www.fondazionebuzziunicem.org Presidente, so che avete preso posizione pubblicamente sul Piano Amianto... Si, ritenevamo che la Fondazione dovesse esprimersi soprattutto relativamente ad alcuni aspetti: epidemiologia; ricerca di base e clinica; sistema delle cure e della riabilitazione. Da quando vi occupate di ricerca clinica e terapeutica per individuare nuove terapie per il mesotelioma? Dal 2004. Ma - in due parole - la vostra “mission” qual è? Il comitato scientifico seleziona i progetti in base ad alcuni criteri concordati; accedono al finanziamento di preferenza i progetti che lasciano intravedere la possibilità di avviare nuovi trials clinici. Con quali istituti di ricerca avete rapporti per sviluppare questi studi? Abbiamo finanziato progetti di ricercatori operanti in svariate Università: Piemonte Orientale, Genova, Pisa, Siena, con il San Raffaele e collaboriamo da 3 anni con L’istituto Mario Negri, per il disegno e monitoraggio dei trials. Siete stati coinvolti nella formulazione del piano? La Fondazione era presente alla Conferenza di Venezia, mentre alla presentazione del piano, l’8 aprile a Casale, non è stata né invitata, né mai citata. Secondo voi perché? La motivazione probabile è che quasi nulla dell’impostazione e dei risultati della ricerca, che la Fondazione segue da anni sia stato ritenuto “interessante”. Però mi pare che al convegno dello scorso dicembre all’Università di Casale i progetti finanziati dalla Fondazione siano stati citati... Sì un paio di progetti finanziati negli anni passati sono stati inglobati nel piano e ripresentati, come già in altri momenti, nell’ottica di mostrare un settore di attività accademica, per accreditarsi ad ottenere fondi pubblici. Veniamo al sodo: l’epidemiologia. Ha almeno due utilità, la prima è registrare l’incidenza abnorme di una data patologia e indicarne la cause, la seconda orientare gli stanziamenti e la ricerca... In questo caso a che punto siamo? Il piano in realtà tratta solo di come organizzare burocraticamente i centri regionali di riferimento e interfacciarsi con l’INAIL. Non si fa alcun cenno all’ipotesi di sviluppare le ricerca sul vaccino (partito da uno studio finanziato dalla Fondazione), che potrebbe davvero essere testato su un campione come la popolazione casalese o degli altri siti contaminati da amianto e che è di fatto l’unico nuovo approccio preventivo. Non è stato minimamente tenuto in considerazione, nessuno ha contattato i ricercatori titolari di questo lavoro, pubblicato sull’International Journal of Cancer, con grande “impact factor”. Sulla ricerca invece che cosa pensate? Che dice il Piano, dà veramente l’impulso di cui c’è bisogno? Nella sezione “Background” a pagina 19 si rimarca con insistenza la mancanza di risultati incoraggianti dalla ricerca di base, ma in realtà si forzano gli elementi negativi. Sembra si voglia far emergere la necessità di continuare a insistere sulla ricerca genetica, fatta a Novara, anche questa finanziata a suo tempo dalla Fondazione. Ma ciò avviene a discapito della ricerca sui biomarkers che invece appare decisamente più incoraggiante e che all’interno della stessa Università è portata avanti da un altro dipartimento. Senta ma non sarà anche una questione di soldi, di intercettare i famosi 5-6 milioni di euro che i cittadini hanno accantonato per la ricerca attraverso le transazioni? Penso che come cittadini abbiamo il diritto e il dovere dobbiamo di nutrire il timore che la burocrazia finisca per dare luogo a una distribuzione delle risorse in base a meccanismi più di potere che scientifici... Quello che ho notato è che a pagina 20 i punti in cui si articola il piano di azione sanitaria sono tutti legati a referenti universitari: Magnani (Università Piemonte Orientale) per la sorveglianza sanitaria; Scagliotti (Università Torino - San Luigi Orbassano) per la ricerca traslazionale e biobanca, De Maria (Istituto Regina Elena di Roma) per la ricerca sulle staminali: il coordinamento spetta alla dottoressa Musumeci del Ministero. La sensazione è che sia creato un organigramma, non un progetto. Ma chi decide? Di fatto la Consulta tecnico-scientifica non lavora, perché i soggetti sono molto diversi per competenza e valore scientifico; non interessa quanto fatto finora, non è tenuto in considerazione chi ha un elevato numero di lavori specifici pubblicati e/o chi lavora con tecniche innovative in ambito radiologico e chirurgico sia in Piemonte sia fuori regione, si propone l’approccio piemontese come protocollo nazionale e si tratta il mesotelioma, seguendo le direttive dei tumori polmonari, insistendo su 6 cicli di chemioterapia in 1° linea (spesso senza esami di verifica intermedi), così da consegnare un paziente intossicato e non più arruolabile nei pochi protocolli sperimentali di 2° linea aperti, e/o intervento chirurgico di pleurectomia totale (è l’unico che viene praticato a Novara). E qui da noi che succede? Chi è ammalato dopo la chemio non sa più cosa fare, non ci sono proposte di trial, né collegamenti con strutture di avanguardia. È una dolorosa denuncia che ho raccolto personalmente dai malati. Nel territorio di Casale si sta cercando di valorizzare la cooperazione con Alessandria, struttura in grado di operare ad alto livello, ma priva di un primario di oncologia e con la Banca Biologica aggregata al San Luigi di Orbassano. Non ci sta facendo un quadro incoraggiante... Perché il Piano parte vecchio e presuntuoso nei contenuti e nell’impostazione; dimostra che non si vuole dare impulso a nuove strade di prevenzione e diagnosi precoce (ignorando l’ipotesi vaccino) e che non si tiene in conto la sostanziale inefficacia della chemioterapia. E le sperimentazioni? Non propone alcun impulso a sperimentazioni di nuovi farmaci in seconda linea, ad esempio creando una chiara deroga legislativa per accelerare le procedure dei comitati etici. Anche per quanto riguarda l’approccio radioterapia/chirurgia (che fu trattato nella conferenza di Venezia), si glissa ancorché questo sistema sia applicato con grande professionalità sia in Piemonte sia in Lombardia. C’è anche il timore, più volte espresso, che si spendano i soldi destinati alla ricerca per la gestione ordinaria: stipendi, etc. Le risorse sono poche e così non si farebbe certo ricerca... In effetti con la pretesa di unificare una procedura e individuare i centri accreditati a trattare i pazienti, in realtà non si tende a risolvere il problema, anzi si può ipotizzare l’uso di tali risorse per coprire spese di gestione corrente dei centri accreditati universitari e/o ospedalieri. Ma voi cosa proponete? All’interno di questo meccanismo il ruolo della Fondazione di favorire gli studi traslazionali per portare in clinica la sperimentazione di nuovi farmaci risulta assai problematico. Sarebbe auspicabile una chiara presa di coscienza delle associazioni di pazienti e dei medici di base per spingere affinché farmaci che sono sicuri non vengano bloccati da pastoie burocratiche. Avete qualche domanda, qualche quesito che ritenete di dover porre alle istituzioni? Perché nel piano nazionale non sono previste specifiche figure di “data manager” per gestire i protocolli sperimentali? Perché si parla genericamente di centri afferenti alla “rete tumori rari” senza operare alcuna distinzione per una malattia che non ricalca nella diagnosi, nella prognosi, nei tempi di sviluppo, nei comportamenti rispetto al protocollo tradizionale, alcun modello della rete? Perché non si tiene conto della ricerca più aggiornata e delle sperimentazioni che sono avviate in Europa e in USA?

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