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RICERCA 5 /Un vaccino contro i tumori? Nuove prospettive di studio dai test effettuati sui topi

ricercaUn vaccino contro le patologie tumorali, che potrebbe avere prospettive di applicazione per il mesotelioma e per altre neoplasie? È l’ipotesi a cui sta lavorando un gruppo di studiosi e che verrà illustrata in un articolo in corso di pubblicazione sull’International Journal of Cancer. Molti dei ricercatori partecipanti sono italiani, alcuni residenti alle Hawaii, come Michele Carbone (direttore del Cancer Center e tra i maggiori ricercatori al mondo per le patologie asbesto-correlate), Giovanni Gaudino (professore all’University of Hawaii Cancer Center) e Pietro Bertino, giovane, tenace e brillante studioso alessandrino che è il primo firmatario dello studio. Un altro gruppo di ricercatori, coordinati da Antonio Siccardi lavorano all’Ospedale San Raffaele di Milano e sono coloro che hanno costruito il vaccino e lo hanno caratterizzato. «Il progetto di un vaccino per il mesotelioma era nato alcuni anni fa in seno a quella fucina di studi idee e progetti per la lotta al mesotelioma che è la Fondazione Buzzi di Casale e aveva visto tra i promotori l’oncologo e ricercatore Luciano Mutti e Giovanni Gaudino», dice Siccardi e già alcuni anni fa ne avevamo parlato su queste stesse colonne. Essenziale per il progetto il significativo supporto economico della Fondazione Buzzi e il finanziamento dell’INAIL per completare il progetto. Ci siamo rivolti al professor Siccardi per sapere a che punto siamo.
Professor Siccardi, allora… si torna a parlare di vaccino contro il mesotelioma e contro il tumore in generale. Che succede? C’è una novità veramente importante che emerge da questo nuovo studio, ed è che il “vaccino” sarebbe in grado di operare - almeno in base alle evidenze biologiche fin qui emerse dalle prove effettuate in laboratorio - anche a livello terapeutico e non solo preventivo. Quindi non si tratterebbe di un vaccino vero e proprio… nel senso che avrebbe una sua efficacia anche in caso di malattia conclamata! In effetti questa vaccinazione funziona anche come immunoterapia; se vogliamo citare una analogia, come la vaccinazione anti-rabbica o in generale le vaccinazioni contro le affezioni a decorso lento (come molti tumori), in cui un supplemento di risposta immune può essere efficace anche a malattia già in atto. Sembra un traguardo ancora più importante… ma a questo punto occorrerebbe una diagnosi precoce. Gli oncologi ci dicono che sono allo studio una serie di marker molto promettenti e il momento in cui si potrà anticipare in modo significativo la diagnosi, evitando di prendere atto della patologia conclamata, è oggi molto più vicino. Senta professore come si è arrivati a questo risultato? Le conoscenze che hanno reso la survivina (l’immunogeno utilizzato nel vaccino) un potenziale bersaglio terapeutico sono nate dai lavori di Dario Altieri, un brillante studioso che ha fatto grandissima carriera ed è ora direttore del Wistar Institute di Philadelphia, uno dei più prestigiosi istituti di ricerca del mondo. Cosa hanno rivelato gli studi di Altieri? La durata della vita di tutte le cellule è regolata da un programma genetico che induce la morte cellulare ed è detto apoptosi: in situazione fisiologica, le cellule danneggiate o sregolate, possono darsi la morte. Le cellule tumorali sfuggono a questo programma per carenza di stimoli pro-apoptotici o per eccesso di fattori anti-apoptotici. Altieri ha identificato che la survivina è il più importante fattore anti-apoptotico e che è prodotta in eccesso nella maggior parte dei tumori. Quindi se qualcosa non funziona a dovere, le cellule che non possono più autoripararsi si suicidano… Proprio così e ciò che sappiamo è che la survivina impedisce questo processo. Non a caso la maggior parte dei tumori – al contrario dei tessuti sani - ne sono iperproduttori… Le cellule tumorali evitano la morte diminuendo gli stimoli pro-apototici oppure aumentano i fattori anti-apoptotici. Oppure facendo entrambe le cose… Tra le proteine che favoriscono la morte cellulare c’è la famosa p53, di cui la maggior parte dei tumori sono carenti. Tra gli anti-apoptotici – appunto - la survivina che come dicevamo abbonda… Questo mette i tumori in condizione di non reagire ai normali stimoli che li porterebbero al «suicidio programmato». Senta, lei è da parecchio tempo che studia la survivina… In realtà noi ci siamo arrivati in seconda battuta. Molti anni fa si è cominciato a considerare la survivina come marcatore del cancro per l’elevata concentrazione in quasi tutti i tessuti tumorali. Studi clinici hanno dimostrato che una risposta immunitaria anti-survivina è dimostrabile in molti tipi di pazienti tumorali, il che dimostra che l’organismo umano è intollerante e tratta questa proteina come un corpo estraneo. Risposta però forse troppo debole o troppo tardiva per incidere sul decorso del tumore. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che indurre e potenziare la risposta anti-survivina possa arrestare o almeno ritardare lo sviluppo del tumore. E quindi cosa avete fatto? Nel mio laboratorio al San Raffaele ci siamo specializzati a produrre vaccini, sia contro antigeni di malattie infettive che contro antigeni tumorali, come appunto la survivina. Noi costruiamo i vaccini in vettori derivati dai virus vaccini che hanno debellato il vaiolo, di cui sono note la sicurezza e l’efficacia nell’uomo. Per avere un vaccino efficace in questo sistema, i linfociti citotossici indotti dalla vaccinazione dovrebbero essere in grado di distinguere le cellule tumorali (che producono tanta survivina) dalle cellule normali, che ne producono meno di un valore-soglia. In questo senso, abbiamo dimostrato che animali sani, immunizzati con il nostro vaccino anti-survivina, non dimostrano danni tissutali e mantengono una normale fertilità, sia maschile che femminile. E il lavoro svolto alle Hawaii in cosa è consistito? Pietro Bertino, che da tempo aspirava a sperimentare terapie vaccinali del mesotelioma basate sulla survivina, ha raccolto la sfida alle Hawaii dove, nel laboratorio di Michele Carbone, aveva messo a punto un sistema sperimentale di mesotelioma nel topo, molto simile a quello dell’uomo. In sostanza vengono iniettate fibre di asbesto nel topo e dopo otto mesi si sviluppa il tumore, che a questo punto viene prelevato e trapiantato in altri animali, sia sottocute che nel peritoneo, per osservare in modo più agevole lo sviluppo della massa tumorale. Quindi questo sistema si presta a validare l’efficacia di un trattamento vaccinale, sia preventivo che terapeutico. Capito… E cosa avete osservato? In entrambi i casi la vaccinazione preventiva o successiva (cioè, terapeutica) altera la crescita di questi tumori. Nella forma peritoneale vanno in necrosi, diventano sacchetti pieni di sangue. Risposta assolutamente drammatica dal punto di vista morfologico. Anche quelli sottocutanei vengono infiltrati da linfociti e altre cellule infiammatorie e vanno in necrosi. E i topi sopravvivono… muoiono… Che succede? Una percentuale significativa dei topi presenta una risposta incoraggiante, con la regressione del tumore e una sopravvivenza comunque superiore ai topi di controllo. Certo solo pochissimi animali sopravvivono abbastanza a lungo da poter essere considerati guariti. Ma non significa ancora una terapia… La sperimentazione condotta fin qui dà la possibilità di osservare un effetto biologico che si traduce in un rallentamento della crescita del tumore e talvolta persino nella sua scomparsa. Tale effetto biologico è ottenuto con trattamenti innocui e privi di effetti collaterali ed è paragonabile o migliore dei risultati ottenibili con trattamenti o composti estremamente tossici (radiazioni, chemioterapici, etc ), quali sono quelli attualmente in uso. Questo direi che è il risultato più importante. Insomma… una strada da percorrere per vedere se porta o no da qualche parte… Una finestra aperta … e ancora tutta da valutare, anche in associazione con altri trattamenti. È esperienza consolidata che le terapie combinate sono quelle che attualmente stanno dando i migliori risultati nella cura dei tumori. E sull’uomo le sperimentazioni sono ipotizzabili? Certamente, però passare dalla vaccinazione terapeutica nell’animale a quella nell’uomo richiede una serie di verifiche la cui durata e il cui esito non sono prevedibili. Insomma che cosa bisognerebbe fare? Sarebbe necessaria una task force di oncologi clinici e sperimentali, sostenuta da enti finanziatori che si facciano carico del progetto e da una impresa biotecnologica per la produzione “clinical grade” dei reagenti. Ma è un capitolo tutto da scrivere…
Pietro Bertino, un giovane ricercatore alessandrino Bertino, classe 1976, è nato ad Alessandria. Nel giugno del 2007 si è trasferito ad Honolulu proprio per trovare il sistema sperimentale adatto a validare il vaccino per il mesotelioma, ricerca durata in tutto cinque anni. Diplomato al Volta (perito aeronautico) e laureato in Biologia all’Università del Piemonte Orientale sede di Alessandria con una tesi sugli effetti dei campi elettromagnetici sulle cellule umane e animali con Giovanni Gaudino e Piergiacomo Betta. Dopo l’università la scuola di specializzazione in Igiene all’università di Milano, il dottorato dell’università del Piemonte Orientale e gli studi in carcinogenesi e nuove terapie per la cura del mesotelioma maligno nel laboratorio del prof. Gaudino a Novara. «In particolare, con Gaudino abbiamo scoperto il meccanismo che induce la formazione del mesotelioma dopo esposizione all’erionite, un minerale che induce il tumore come l’amianto. La ricerca che ci ha dato più soddisfazione riguarda la terapia combinata gemcitabina-gleevec. I nostri dati sulle cellule in vitro e sui topi sono stati usati come razionale per iniziare uno studio pilota e uno studio clinico di fase 2 sull’uomo (condotto al S.Matteo di Pavia), entrambe con risultati promettenti», racconta. E sempre per concludere la propria ricerca Bertino è stato per qualche mese a Los Angeles nel laboratorio di Martin Kast (famoso immunologo olandese che ha sviluppato il vaccino per il cancro indotto da papilloma virus) e nel laboratorio di Peter Hoffmann, un immunologo dell’università delle Hawaii.

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