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Meritano 20 anni di carcere. “Per la gravita dei reati e la loro capacità di delinquere”

Serrata, minuziosa, documentatissima, mirata. La replica del magistrato Raffaele Guariniello ha sviscerato – ieri, lunedì, nel corso dell’udienza del processo di Appello Eternit a Torino - una per una le tesi della difesa ribadendo e perfezionando persino, l’impianto dell’accusa e tornando a chiedere il massimo della pena «per la gravità dei reati e per la capacità di delinquere dimostrata dagli imputati». Il magistrato nella sua replica ha tenuto a evidenziare una volta di più che il processo di Torino non verte sui casi individuali ma sul disastro e che - per dimostrare la sussistenza del reato - sarebbe sufficiente l’indagine epidemiologica. Processo che è tuttavia frutto - ha detto - dello stralcio dell’indagine sui casi individuali che è ormai completata. Cosa che suona come l’annuncio che a breve partirà il secondo processo Eternit, che riguarderà proprio gli omicidi e le lesioni, i casi singoli appunto, di danni causati dall’Eternit. Insomma, secondo il magistrato le prove che dimostrano la responsabilità degli imputati sono sovrabbondanti, molteplici e di varia natura. Guariniello ha anche insistito - citando sentenze della Cassazione, il Quaderno della Salute del Ministero sull’amianto e una precisazione dell’Istituto Superiore di Sanità - sul pacifico nesso fra «l’esposizione ambientale imputabile agli imputati» e l’incremento di casi di malattia fra lavoratori e cittadini, il fatto cioè che «la cancerogenersi è dose-dipendente» (maggiore esposizione uguale maggiore rischio): «L’aumento di dose sottrae certamente anni di vita e anni di salute», ha detto. «Per completezza devo ribadire che le risultanze probatorie sono state talmente ricche da dimostrare la sussistenza di molti casi di ammalati di mesotelioma anche solo per l’esposizione imputabile agli imputati...». Quanto alla prescrizione Guariniello è tornato a ribadire che «il delitto è da considerarsi consumato nella data in cui si verifica il disastro», altrimenti, nel caso delle malattie a lunga incubazione causate dall’amianto o di altri inquinanti che provocano l’insorgenza di tumori, si verificherebbe il caso assurdo che un reato risulterebbe prescritto prima che si verifichi. Senza contare che il disastro in oggetto rientra nella tipologia dell’evento «con effetti che perdurano per un periodo di tempo molto prolungato», cosa che corrisponde a una precisa fattispecie di disastro prevista dalla norma, per distinguerla dagli eventi che hanno effetto immediato (deragliamenti, naufragi, crolli). La sentenza dell’ILVA Il magistrato ha poi accentrato l’attenzione sulla sentenza dell’ILVA di Taranto con cui la Cassazione ha negato la revoca dei domiciliari agli imputati. «Sono proprio i nostri reati in concorso fra loro.... «A propria discolpa gli imputati lamentano l’inammissibile trasferimento di fatti genericamente attribuiti all’ILVA sulle persone». Ma è proprio la condotta tenuta dagli indagati negli anni a «non avere impedito» l’inquinamento dell’ambiente circostante, ha evidenziato il pm. Sentenza che sottolinea che «l’inquinamento è attuale» e che «le concrete modalità di gestione degli stabilimenti hanno causato inquinamento in un ampio territorio». Il pronunciamento parla anche «di coscienza e deliberata scelta, continuando a produrre massicciamente con inosservanza delle norme di sicurezza». E poi evidenzia i lauti profitti ricavati dall’attività «omettendo investimenti per limitare le omissioni» e ancora di fa cenno alla «pervicacia e spregiudicatezza dimostrata dagli imputati, che hanno continuato a operare nella consapevolezza della gravissima conseguenze che cagionavano». Tanti parallelismi con il caso Eternit - insomma - che hanno indotto il tenace magistrato torinese all’amara considerazione: «Mi ci è voluto troppo tempo per capire che non era giusto procedere separatamente sugli stabilimenti», con processi cioè che mettevano sotto accusa i dirigenti locali e non quella che è stata definita da Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto la «cupola» della multinazionale dell’amianto. «Per anni è stato più bravo Stephan Schmidheiny a nascondersi, grazie anche al depistaggio. Ma alla fine, grazie anche alle vittime dell’Eternit e alle loro famiglie, siamo riusciti a capire che quell’immane disastro aveva unica regia e dietro c’era la proprietà. «Le scelte strategiche che costituiscono condotta primaria per cui procediamo sono dei nostri imputati e sono proprie queste scelte strategiche a indurci a chiedere vent’anni di reclusione». Napoli, inquinamento in atto Al lungo intervento di Guariniello sono seguiti quelli dei legali dell’INPS e dell’INAIL che sono tornati a ribadire il loro diritto di accedere al risarcimento e la richiesta di condanna degli imputati. Domenico Di Criscio, avvocato della Cgil Campania, in aula anche per la Fillea Cgil e per rappresentare 104 vittime dell’amianto, ha evidenziato poi che lo scorso 8 aprile a Napoli la magistratura ha messo sotto sequestro l’area ex Eternit e Italsider, che sono contigue. «I consulenti tecnici del pm hanno ritenuto che nessuna bonifica era stata effettuata ha spiegato il legale evidenziando inoltre che i controlli avrebbero evidenziato addirittura un ulteriore aggravamento dello stato dei terreni rispetto alle condizioni pre-bonifica». Tra gli indagati c’è anche l’ingegner Gianfranco Caligiuri che ascoltato nel processo Eternit di primo grado aveva dichiarato che la bonifica era in corso anche se non ancora completata. Il reato quindi - ha sostenuto il legale - non è prescritto perché l’evento disastro è tuttora perdurante. «Del tutto inaccettabile l’affermazione del tribunale che sia cessato da 15 anni il pericolo con conseguente prescrizione». La perizia non è stata però acquisita agli atti in quanto le difese degli imputati si sono opposte. Lunedì prossimo si torna in aula per le repliche dei responsabili civili. Il 27 tocca ai difensori degli imputati. Poi la sentenza.

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