Quando la scuola non è solo scuola: le “mille” bandiere della Venesio
di Alberto Marello
Oltreponte è un quartiere di mille colori e di altrettante lingue. Un luogo dove di sovente le differenze si trasformano in difficoltà e dove le istituzioni pubbliche sembrano avere un appeal in costante svalutazione. Molte delle industrie che nel secolo scorso avevano spinto la città al di là del fiume oggi non ci sono più. Restano i loro scheletri, consegnati nelle mani del tempo, dell’incertezza e del degrado. Ma qualcosa, seppur lentamente e in un contesto comunque difficile, si muove. Verso la ferrovia ci sono le ruspe che portano avanti il cantiere per una nuova piattaforma commerciale, tra i palazzi spunta qualche piccola impresa familiare e alcune voci vorrebbero addirittura l’insediamento del centro direzionale di un operatore della grande distribuzione.
E poi c’è la scuola che, oltre ad assolvere i compiti di educazione e di istruzione per gli studenti, si sta rivelando un importante collante sociale. Un motore di sviluppo che, con il tempo, potrebbe rendere il quartiere più vivo: abitato da una comunità coesa che si conosce e che si frequenta nonostante le differenze di fede, di ceto e di provenienza. Sabato scorso, la scuola dell’Infanzia Venesio, in collaborazione con la Primaria XXV Aprile (entrambe del Comprensivo “Casale 3”) e l’Unicef, ha festeggiato la chiusura dell’anno con un piccolo spettacolo durante il quale i bambini dell’ultimo anno hanno indossato le bandiere degli Stati dai quali provengono le loro famiglie.
Cambogia, Russia, Italia, Romania, Albania, Marocco, Cina ed El Salvador. Il giro del mondo a Oltreponte quotidianamente vissuto (e per l’occasione raccontato) in italiano e in inglese. La scuola negli anni è diventata un vero e proprio laboratorio sociale: luogo per eccellenza dove tessere rapporti da fortificare, poi, all’esterno, anche quando i piccoli hanno finito di frequentare quelle mura colorate. E così dove mancano i genitori, colmano i figli. I piccoli spesso si trovano anche a tradurre per gli adulti e a spingere le rispettive famiglie, con la scusa «dell’amichetto», a conoscersi e a relazionarsi per abbattere le sbarre della solitudine e dell’emarginazione. Storie di periferia belle come i bambini che frequentano quella scuola... che non è solo una scuola.