INCHIESTA / Eternit sapeva, c'è la prova. Una nota interna del 1973 lancia l'allarme per le conseguenze che potevano avere le ricerche del medico americano Selikoff sulla produzione.
di Massimiliano Francia
Quello che abbiamo definito «il manuale delle menzogne mortali Eternit» - il libro di istruzioni presumibilmente destinato ai dirigenti della multinazionale dell’amianto che aveva lo scopo di mistificare o negare il rischio amianto e al quale abbiamo dedicato un ampio servizio lo scorso venerdì - assume un significato ancora più grave alla luce di un altro documento di tre anni precedenti.
Nel 1976 infatti Eternit cercava di prevenire la «diffamazione dell’amianto» con il manuale, ma il 14 febbraio 1973 la Direzione Marketing di Eternit scriveva alla Direzione Generale allegando un articolo uscito pochi giorni prima - il 21 gennaio 1973 - sul «New York Times Magazine». Ventiquattro giorni per intercettare l’articolo, esaminarlo e lanciare l’allarme a riprova di quanto fossero attenti i dirigenti a tutte le questioni relative ai rischi legati all’amianto.
Articolo «la cui gravità nei riflessi delle nostre industrie lascio a Voi stessi giudicare», scrive l’estensore della nota, rispettosamente indicando i destinatari con la maiuscola.
Nella nota si fa poi riferimento alla necessità di essere più rigorosi nei controlli della polverosità e nelle verifiche ambientali e alle «immancabili accuse che periodicamente ci vengono fatte dall’ENPI e dai rappresentanti degli operai».
Selikoff e Hammond
Ma la nota assume un significato veramente enorme se si valutano i contenuti del servizio sul «New York Times Magazine» allegato alla nota stessa e che riporta le ricerche dell’allora già celebre dottor Selikoff.
Perché dimostra inequivocabilmente che Eternit sapeva, era al corrente delle informazioni scientifiche maturate sulle patologie mortali causate dall’amianto ma si guardò bene dal tenerne conto, anzi.
Un articolo in cui si dice già tutto.
Irving J.Selikoff e E.Cuyler Hammond - scrive il N.Y. Times Magazine nel 1973 ricomprendendo senza saperlo la stessa nota del dirigente Eternit - «per alcuni alti funzionari del ministero americano e dell’Industria dell’amianto questi due medici e i loro colleghi rappresentano quasi una calamità».
I cantieri navali
Il servizio riguarda i lavoratori dei cantieri navali, che impiegò 4,5 milioni di addetti nella seconda guerra mondiale, paradossalmente scampati al rischio della guerra, ma - dice il servizio - esposti al gravissimo rischio legato al fatto che in quei cantieri veniva impiegata una grande quantità di amianto.
L’esposizione ambientale
«Ciò che allarma particolarmente il team di Selikoff è che il rischio non riguarda soltanto i lavoratori dell’amianto ma anche tutti coloro che lavoravano sottovento o generalmente nei pressi della attività a contatto con l’amianto».
Selikoff mette dunque già a fuoco il concetto di esposizione ambientale e il fatto che non è necessaria una grande e prolungata esposizione: «Non è necessario lavorare l’amianto per 30 anni per sviluppare un mesotelioma o qualche altra forma di cancro o l’asbestosi...».
Un rischio che sussiste anche se, per esempio, evidenzia il servizio, si «inala dell’amianto disperso nell’aria in seguito alla demolizione di fabbricati».
Gli studi sugli ex lavoratori
Selikoff basa le proprie affermazioni - per esempio - su uno studio effettuato su un gruppo di ex lavoratori dell’amianto, tra i quali riscontra indici di mortalità fortemente superiori alla media per tutta una serie di patologie: non solo mesotelioma ma anche cancro al polmone, allo stomaco, al colon, al retto.
«Cancerogeno ubiquitario»
Erano valutazioni avventate che sono state smentite dagli studi successivi, visto che oggi si parla quasi esclusivamente di mesotelioma in relazione all’amianto?, abbiamo chiesto al primario dell’oncologia del Santo Spirito di Casale Monferrato Mario Botta.
«Assolutamente no, anzi abbiamo avuto, da studi successivi, la conferma l’amianto è un cancerogeno ubiquitario».
L’amianto provoca in sostanza un aumento tout court delle patologie tumorali.
Il rischio era noto
I lavoratori divennero consapevoli della gravità della situazione, solo negli anni Settanta, quando l’amianto dispiega i suoi effetti dopo i canonici 20-30-40 anni di incubazione.
«Cosa piuttosto strana se si pensa che i funzionari dell’industria dell’amianto, il Servizio sanitario pubblico degli Stati Uniti e il Ministero del Lavoro degli Stati Uniti sapevano da anni che l’amianto poteva rappresentare un serio rischio».
Il legame tra cancro al polmone e amianto - sottolinea ancora il servizio sul N.Y. Times era «dimostrato» dal 1955 da Sir Richard Doll, un medico britannico.
Selikoff e Hammond avevano accertato invece il legame tra amianto e mesotelioma inequivocabilmente con uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine del 1965.
Il business, le pressioni
Già nel 1964 Selikoff lavorava a un simposio internazionale sul tema e venne avvertito dai tessitori di amianto che se le vendite fossero calate avrebbe anche potuto essere chiamato a risponderne.
Circa 20 anni dopo una situazione analoga si verifica anche per il sindaco di Casale Riccardo Coppo.
«Nel 1982-83, mentre ero presidente del Comprensorio - ha raccontato Coppo durante la propria deposizione in aula al processo in corso a Torino lo scorso 10 maggio - mi venne fatta la richiesta da parte del presidente della Associazione mondiale produttori asbesto di avere un incontro. Accettai e ricordo che parteciparono il dottor Costa e alcuni suoi collaboratori in rappresentanza dell’Eternit: quell’incontro fu non facile perché di fatto venni messo sotto pressione; mi dissero che questa posizione di avversione all’amianto era del tutto ingiustificata perché la mortalità da mesotelioma era irrilevante rispetto a quella per i tumori da fumo e che fossi molto più prudente nel ravvisare responsabilità di Eternit per insorgenza di questo tumore, in quanto amianto veniva impiegato anche nei ferodi dei freni: e quindi la mortalità per mesotelioma poteva essere causata da altri fattori e non dall’Eternit».
Nel Texas
Il servizio del 1973 riporta anche la situazione di uno stabilimento del Texas, a Tyler, dove «in alcune aree la polvere di amianto era così fitta da impedire ai lavoratori di vedere da un estremo all’altro del locale».
«Al di fuori della fabbrica - prosegue il servizio - scarti di amianto venivano scaricati, talvolta a una profondità di tre piedi, nei terreni vicini, che i bambini ogni tanto usavano come campo da gioco. I sacchi che erano serviti a trasportare l’amianto in fabbrica, ancora ricoperti di polvere, venivano venduti a dei vivaisti locali che vendevano rose. È inutile cercare di stimare il numero di vivaisti e clienti che respirarono quantità nocive di polvere di amianto proveniente da quei sacchi».
E non è tutto perché nel servizio si pone l’accento sul rischio per gli abitanti di Tyler, evidenziando che fra i residenti vi furono numerosi decessi per patologie legate all’amianto.
Insomma, è il concetto di rischio ambientale che ritorna, il pericolo che corrono anche coloro che pur non lavorando vengono in qualche modo a contatto con l’amianto disperso nell’aria.
Una situazione quasi identica a quella di Casale e di altre realtà in cui operava Eternit, per la «nebbia» all’interno degli stabilimenti, gli scarti smaltiti in modo irresponsabile, i sacchi sdruciti e pieni di polvere regalati per metterci le patate piuttosto che per le rose, quando non erano fatti rammendare da ignare casalinghe che avevano bisogno di arrotondare per far quadrare il bilancio familiare.
I limiti e il cancro
Lo stabilimento di Tyler introduce l’argomento dei limiti massimi tollerabili di fibre di amianto nell’aria e ai sistemi di aspirazione e di «prevenzione».
Livelli fissati in 5 fibre per centimetro cubo e che - ovviamente - nei fatti sono spesso elusi in modo plateale, sottolinea il servizio. La discussione si sviluppa sulla necessità di abbassare il limite a 2 fibre litro, cosa considerata dagli industriali economicamente troppo onerosa.
Ma la questione vera, puntualmente sollevata da Selikoff è un’altra. La questione vera che sottolinea il medico è che la normativa aveva lo scopo di «stabilire un limite per prevenire l’asbestosi, non il cancro.
«Ci sono molte pubblicazioni che provano come con un limite di due fibre per centimetro cubo il mesotelioma si sviluppa, il cancro al polmone si sviluppa, l’asbestosi si sviluppa...», evidenziano i ricercatori.
E per questo si parla di utilizzare altri materiali al posto dell’amianto, come la fibra di vetro.
Respirare senza rischio, senza paura, non è un diritto.
E si torna al manuale Eternit
Insomma gli studi di Selikoff degli anni Sessanta erano noti a Eternit e in quegli studi si diceva già tutto: che l’amianto provoca il mesotelioma, il tumore al polmone e una quantità di altre patologie. Che sono a rischio tutti coloro che vengono in contatto con l’asbesto, e non solo i lavoratori.
Che la «modica quantità», il concetto di tollerabilità non è applicabile a questo materiale e che i limiti di 2 fibre per centimetro cubo non garantiscono. Ci si ammala ugualmente.
E si ritorna così al manuale di Eternit del 1976 dove si negano apertamente tutti i rischi denunciati da Selikoff.
(Era lui allora che «diffamava l’amianto»?)
Manuale dove si afferma che l’amianto blu non fa male.
Dove si dice che il cemento -amianto «può essere considerato senz’altro un materiale non pericoloso».
Dove si stronca sul nascere la discussione sulle fibre alternative sostenendo che non ci sono garanzie che non siano altrettanto pericolose.
Che i lavoratori sono protetti.
Che per chi abita nei pressi degli stabilimenti non c’è alcun rischio.
Solo una cosa viene colta e - guardacaso - enfatizzata dagli studi dei medici britannici e americani, il rischio legato al fumo...