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A Verrua le rose delle principesse sabaude

Puntiamo su Verrua Savoia, arrivando da Crescentino; stop subito dopo la cittadina retta dall’amica Marinella Venegoni, sulla sponda del Po in località Cavezzino (per la cronaca Diocesi di Casale, se passiamo la strada diocesi di Vercelli). Siamo qui per visitare l’azienda florovivaistica Rosacisalpina di Franco Galliati, ammirata all’ultimo Riso & Rose a Coniolo. Il titolare prima ci intriga con la storia dell’azienda fondata dal nonno Francesco, custode e mezzadro alla rocca di Verrua dove lui è nato nella casa del custode. Era al servizio del marchese d’Invrea al pari del papà Riccardo, appassionato di rose e di frutta che gli ha trasmesso la passione per i fiori. Sono rimasti alla rocca fino al 1956, che Franco ricorda per l’inverno freddissimo e per il Po ghiacciato nel mese di febbraio, quando hanno dovuto coprire anche le botti per evitare il gelo del vino. La famiglia Galliati ha lasciato la fortezza di Verrua dopo il crollo che ha interessato lo storico edificio (che oggi si sta pian piano recuperando, ndr). Scesa a valle ha acquistato l’unica casa disponibile, che si trova dall’altra parte della strada, in borgata Mezzi come detto nel territorio comunale di Crescentino. Franco ha due figli Alberto e Fabrizio, anch’essi vivaisti. Visitiamo ora le serre dove possiamo ammirare (e annusare) gli incroci delle rose. La prima nata è la rosa Aura, di profumo intenso e colore classico, dea della mitologia greca. Poi vediamo (e filmiamo) le nuove varietà delle rose nobili, dedicate dal vivaista appassionato di storia a regine e principesse Mafalda e Maria Cristina (con fiori a mazzetto). Poi, in occasione del millennio della rocca nel 1999 la rosa dedicata (con il suo permesso) a Maria Gabriella, seguita da quelle di Maria Clotilde, Maria Josè, Margherita e Polissena (vedi altro articolo). Sono in studio altri innesti di rose, un lavoro lungo, delicato, da appassionati: i risultati si vedono dopo anni. Vediamo una rosa a toupet e altre di colori vivaci quasi pronte al battesimo. Magari una da dedicare, suggeriamo noi, alla marchesa Anna d’Alençon e, perché no, a personaggi importanti del Piemonte, come Cavour. Passiamo in ufficio per l’album dei ricordi: il nonno dopo il crollo e col prof. Borgondo, Franco bambino nel 1955-56 nella camera da letto del marchese e chiudiamo così un interessante giro tra botanico e storico. Luigi Angelino Peota e Polissena La peota è il più incredibile e fiabesco dei manufatti di Casa Savoia. Un gioiello nautico ricco di sculture, intagli dorati, dipinti e tessuti preziosi nato per lo svago di passeggeri di alto rango accolti nella cabina centrale impreziosita di scintillanti dorature. Commissionata agli abili carpentieri veneziani, decorata da Filippo Juvara, fu ordinata da Vittorio Amedeo II nel 1729, in un momento strategico della vita del re di Sardegna che si apprestava ad abdicare in favore del figlio Carlo Emanuele per ritirarsi in esilio volontario a Chambery.Mentre il bucintoro del Po è in costruzione si susseguono le giornate più drammatiche del vecchio sovrano: il tentativo di riprendere il regno, seguito dall’arresto, dalla reclusione a Rivoli e a Moncalieri, dove si spegne il 31 ottobre 1732. Gracile e quasi gobbo “Carlino”, come era confidenzialmente chiamato dai sudditi, non era amato dal padre che gli fece sposare nel 1722 la principessa palatina Anna Cristina Luisa, spentasi dopo un anno. Sempre scelta dal padre anche la seconda moglie, la bella ed elegante Polissena Cristina d’Assia-Rotenburg (a cui è stata dedicata una rosa in un noto vivaio di Verrua, vedi articolo). Era la zia della famosa Maria Teresa Luisa di Savoia-Carignano, la principessa di Lamballe, una delle principali confidenti di Maria Antonietta, di cui ha condiviso la sorte negli anni della Rivoluzione Francese. Polissena, che morì di parto a Torino nel gennaio 1735 a soli 28 anni, godeva della stima del conte Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio, il futuro artefice della battaglia dell’Assietta (1747) che le aveva intitolato il celeberrimo Reggimento Fucilieri “La Reyne”. Era molto amata da Carlo Emanuele, ma non dal padre Vittorio Amedeo che impose agli sposi appartamenti separati, ritenendo che il figlio fosse da lei distolto dalla politica. La rottura definitiva dei rapporti tra padre e figlio avvenne quando la barca d’oro, varata dai cantieri dell’Arsenale di Venezia e diretta al “Regio Imbarcadero del Palazzo del Valentino” per essere consegnata ai Savoia, era già in viaggio. Ottenuti i permessi di passaggio da parte dei paesi rivieraschi, accompagnata da un burchiello e da una gondola con i decori e gli arredi protetti nel lungo viaggio, la peota inizia la risalita del Po grazie al traino con cavalli e buoi lungo gli argini del fiume. Durante la navigazione si verificano alcuni incidenti, come il forte acquazzone che si abbatte sulle imbarcazioni, per fortuna senza danno, consentendo al convoglio di giungere sano e salvo a Casale. Qui arriva l’ordine perentorio di procedere “con vitessa” verso Verrua per raggiungere il Valentino, dove le sculture sono rimontate e la barca è pronta per la consegna del 4 settembre 1731. Così, progettata per celebrare i fasti del padre, la barca sublime con lo stemma sabaudo diventa il diletto del figlio Carlo Emanuele e della graziosa Polissena, ed è inserita ufficialmente nella vita di corte “per servire di divertimento alle loro maestà sul fiume Po”. Dionigi Roggero PS. Dopo l'uscita dell'articolo il titolare nel ringraziarci ha promesso che la prossima rosa sarà dedicata alla marchesa Anna d'Alencon, grande personaggio del Monferrato. VIDEO CON VISITA ASSIEME AL TITOLARE

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