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A Vignale

Il primo 20 settembre: il ricordo monferrino

Per la Giornata degli Internati Italiani catturati dai nazisti

20 settembre 1943. Hitler “inventa” la definizione di “Italienische Militarinternierten” (IMI) per i 650mila soldati italiani catturati dall’esercito nazista dopo l’armistizio dell’8 settembre. Una data che coincide con l’inizio di un’odissea sul cui, quasi, oblio l’Italia è intervenuta con la Legge n. 6 del 13 gennaio 2025 e l’istituzione della Giornata degli Internati Italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. A commemorare il primo 20 settembre “formalmente riconosciuto” è stato il Professor Piercarlo Fantucci in un incontro promosso sabato dal Comune.

Il contesto storico nel quale insiste (e ha origine) la tragedia degli IMI è fra i più concitati del secondo conflitto mondiale. Sconfitta sui fronti nordafricano e sovietico, incapace a sostenere lo sforzo bellico, l’Italia assiste il 9 e 10 luglio all’occupazione alleata della Sicilia.

Il 25 luglio Mussolini, sfiduciato tramite l’Ordine del Giorno del gerarca Dino Grandi, è destituito da capo di governo per mano di Re Vittorio Emanuele III. Pietro Badoglio, che gli succede, intavola le trattative con gli Alleati e il 3 settembre firma a Cassibile l’Armistizio, reso pubblico l’8 settembre. Lo stop ai combattimenti non si accompagna a direttive chiare e precise fornite all’esercito italiano, subissato da ordini confusi e contraddittori che preparano il vero e proprio sfacelo. Il 9 settembre Hitler autorizza la giù preventivata invasione della Penisola: truppe tedesche valicano il Brennero e in cinque giorni occupano il centro-nord.

La Wehrmacht soggioga 321mila prigionieri sul territorio nazionale, 59mila in Francia (compresa la Corsica) e 430mila nei Balcani, in Grecia e nell’Egeo: un “bottino” umano di 810mila unità di cui solo 150mila accettano il collaborazionismo tedesco. I restanti 650mila, tacciati come “traditori” e “badogliani”, sono tradotti nei 59 campi di concentramento in Germania e Polonia: 55mila vi muoiono per fame, stenti e violenze. Il trattamento punitivo inferto agli ex fedeli del Regio Esercito, che formalmente non possono essere registrati come “prigionieri di guerra” in quanto l’Italia non è belligerante contro il Terzo Reich, è attuato proprio grazie alla “trasformazione” dei MI (Militari Italiani) in IMI: una categoria “a sé stante” sulla quale si abbatte l’ira di Hitler. A nulla serve il tentativo di Mussolini, liberato dalla prigionia a Campo Imperatore e costretto dalla Germania a presiedere la Repubblica Sociale Italiana, di rimpatriare i militari, convincendoli a entrare nelle file del suo stato fantoccio: l’85% di loro declina l’invito, mentre il Fuhrer stesso osteggia l’idea di un esercito della RSI potenzialmente forte e organizzato.

Tra gli oltre 600 IMI, si parlava anche monferrino. Per 22 mesi rimase prigioniero nei lager di Germania e Polonia (dove ebbe, peraltro, fra i compagni di detenzione lo scrittore Giovannino Guareschi, celebre penna di Don Camillo e Peppone) il casalese Paolo Desana, padre delle DOC. Non si salvò, invece, Francesco Besso, natio di Vignale, trucidato dai nazifascisti il 27 febbraio 1945 a Rodi, per aver diffuso vignette satiriche che “oltraggiavano” Hitler. La Sindaca Tina Corona, che lo ha definito “internato silenzioso, sofferente e innocente”, ha promesso il posizionamento di una futura targa commemorativa: è già visibile, invece, la pietra d’inciampo a lui intitolata in Via Sant’Antonio a Milano, dove visse prima del conflitto.


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