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L'intervista...

Le parole di Paolo Maggioni, primo giornalista inviato a Codogno

Tra una diretta e l’altra la testimonianza del giornalista, che non nasconde il suo profondo legame con Frassinello

In un’insolita Lombardia, negli ultimi mesi al centro delle discussioni da Coronavirus e sotto riflettori di media e magistratura, tra le tante persone che vi lavorano, si contagiano e tornano a in campo, ci sono anche i giornalisti, sempre pronti, per garantire il diritto-dovere d’informazione e per dare voce a chi non ce l’ha.

Tra tanti colleghi, abbiamo raggiunto Paolo Maggioni, monferrino da parte di mamma Giovanna Alfonsi e nonna Anna, giornalista di Rai News 24 e primo inviato a Codogno, all’alba della mattinata del 21 febbraio scorso e, parimenti, del focolaio da Covid19.

Tra una diretta e l’altra, ci porta la sua testimonianza di giornalista nel tempo del Covid19 e di quarantenato tradendo, attraverso il ricordo della nonna Anna, il profondo legame con Frassinello e il Monferrato.

“Raggiunsi Codogno alle 4 del 21 febbraio scorso. Dopo due giorni il premier Conte avrebbe comunicato, a reti unificate, le prime misure Covid19, con il primo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Le gravi condizioni di Mattia, il cossiddetto paziente 1, erano già note. Il focolaio era lì anche se, in qual momento, le informazioni erano ancora scarne. Arrivammo a Codogno un po’ inconsapevoli, senza guanti e mascherine. Del resto, dallo Spallanzani arrivavano notizie buone e incoraggianti di persone che stavano guardendo. Non c’era la percezione di una situazione che stava per esplodere”.

Qual è la cosa che più ricordi di quella mattinata? “L’incredulità della genge che transitava davanti all’ospedale. Non erano abituati alla luce dei riflettori. Col solo linguaggio degli sguardi, si domandavano chiaramente perché fossimo lì. Fu il prologo di due lunghi e difficili mesi”.

Fu li che ti contagiasti? “Non lo so. Non ho mai avuto sintomi e neppure ho fatto tamponi. Venni posto in quarantena precauzionale la sera setessa del servizio. Da 14, i giorni erano, poi, diventati 28, essendo stato a contatto con un positivo”.

Come e dove hai vissuto la lunga quarantena?A casa dai miei genitori a Milano, dove i grandi spazi hanno permesso di gestire meglio la situazione. E’ stata comunque un’esperienza molto forte. In casa c’è stata una persona positiva, con sintomi lievi e ora guarita. Il nostro quotidiano si è così inevitabilmente trasformato tra guanti, mascherine, bagni separati, igienizzazione continua e pranzi in spazi diversi. Fortunatamente, ho potuto lavorare in smart working aiutando le colleghe che coprivano la Lombardia. Ho potuto seguire anche la situazione di Mattia. Da un mese, sono tornato operativo, con un modo di lavorare completamente cambiato. Pesa la mancanza di contatto, ma cerchiamo arrivare il più vicino possibile ai racconti e alle vicende, oltre che agli aggiornamenti”.

Come hai visto mutare Milano in queste settimane? “Milano deserta fa impressione: è come passeggiare virtualmente in rendering. Tutto si è fermato, ma non la grande onda di volontariato e di persone che si spendono per gli altri. Non vedo l’ora che Milano torni a fare rumore, magari meno inquinata dal punto di vista ambientale, ma con il rumore della creatività, dell’arte, della cultura, del pensiero e della sua straordinaria capacità d’azione”.

Qual è il tuo legame con il Monferrato? “Il Monferrato è l’origine, la terra, la cultura, il cibo e la vigna. Il Monferrato è nonna Anna, la cui lunga, tortuosa e fantastica vita si è conclusa il 7 marzo scorso all’età di 97 anni.  La nonna, originaria di Frassinello, è stata, per me, l’esempio più alto dell’espressione umana. Una monferrina dal carattere apparentemente burbero e scontroso, ma dal cuore aperto e generoso. Da lei ho imparato serietà, disponibilità e senso dell’umorismo. La nonna lavorava in Mondadori; era una persona colta dalla voglia e voracità di sapere, di leggere e di approfondire. E’ stata la cosa più vicina all’idea di una terra, di un territorio e di un mondo a cui sono profondamente legato. E’ stato molto triste non poterla salutare con un funerale. Il pensiero di lei, la sua energia, il suo carattere e le sue origini monferrine, continuano a vivere nel mio lavoro e nel mio sentire”.


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