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Eternit, si ricomincia dalla Bibbia. Il magistrato cita Re Salomone: «Ci serve un cuore intelligente»

«Per affrontare un processo come quello Eternit, un processo di dimensioni enormi per l’entità delle parti civili e per la gravità delle accuse, ma anche per una dilatazione dei fatti in un arco di tempo estremamente lungo, occorre “un cuore intelligente”». Ha esordito così il magistrato Alberto Oggè, presidente del collegio giudicante che ha aperto ieri i lavori del secondo grado di giudizio a carico di imputati lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis de Cartier, condannati a sedici anni di carcere in primo grado e che hanno impugnato la sentenza dichiarandosi innocenti. Una relazione aperta citando la Bibbia e Re Salomone, strana per un’aula di tribunale, infarcita di dotte citazioni, dagli storici francesi (Fernand Braudel, citato per illustrarne il metodo di ricostruzione dei fatti) alla narrativa di Gadda e Kafka, a Kant e Calvino... Una relazione che ha messo l’accento più volte sul dramma umano della vicenda amianto ma ha anche sottolineato l’esigenza di un giudizio rigoroso. Una relazione giudicata «neutrale» da molti addetti ai lavori e con la quale il magistrato ha sostanzialmente illustrato i punti fondamentali del capo di imputazione e della sentenza di primo grado. E se da un lato le sue parole di apertura sembravano esprimere cautela - quasi a dire «capisco il dramma, ma il nostro compito è applicare la legge in modo anche “spietato”...» - dall’altro non hanno mancato di suscitare emozione. Per esempio nel parallelo che il magistrato ha scelto di fare (per illustrare uno degli snodi più importanti della sentenza di primo grado) tra la strage causata dall’Eternit e la Shoah, invocata a titolo di esempio per illustrare il ruolo avuto da Stephan Schmidheiny secondo la prima sentenza: così come la «soluzione finale», lo sterminio - ha detto Oggè per illustrare il proprio percorso logico - viene compresa nella sua sostanza solamente alla luce dei fatti successivi, così le indicazioni che il magnate svizzero diede ai dirigenti dell’Eternit a Neuss nel 1976 per avvisarli del pericolo rappresentato dall’amianto fa capire che l’obiettivo era continuare (anzi difendere!) l’attività. Anche a costo di causare dei morti... Schmidheiny a Neuss si dimostrò infatti informato delle malattie mortali causate dall’asbesto ma impartì la direttiva di continuare l’attività minimizzando i rischi e - anzi - di fare «disinformazione» nel sostenere che il rischio può essere controllato e che l’eventualità della morte riguardava solamente alcune situazioni, come per esempio i fumatori... E in ogni caso viene accettato consapevolmente il rischio delle morti: di qui il «dolo intenzionale». Collegata a tutto ciò anche la notazione che il primo collegamento dell’amianto ai tumori risale al 1935, e che il disvelamento del medico statunitense Irving Selikoff fece a metà Anni ‘60 sui rischi di patologie nel contatto con l’amianto, la postilla che l’amianto in natura non ha effetti apprezzabili sulla salute (è il ciclo di lavorazione che lo rende pericoloso). E poi una breve illustrazione delle tipologie di amianto, con la notazione che già all’epoca – secondo accusa e sentenza – si sapeva benissimo che la crocidolite era «micidiale». Ancora: la distinzione tra Bagnoli e Rubiera da un lato e Casale e Cavagnolo dall’altro, dove il disastro ambientale è stato causato dalla regalìa degli scarti, e in particolare del polverino. Gli appelli delle parti La parola è poi passata al giudice a latere Elisabetta Barbero, che ha iniziato a illustrare i motivi degli appelli. In primo luogo quello della Procura Generale, poi quello del pm che ha chiesto di rivedere la sentenza relativamente alla condanna tornando a chiedere la massima pena: 20 anni di carcere. Secondo i magistrati dell’accusa inoltre il disastro sarebbe ancora attuale anche a Bagnoli e Rubiera. A Napoli in particolare gli stabilimenti furono abbandonati insieme a scarti e di manufatti e la contaminazione delle abitazioni vicine allo stabilimento provocò un disastro anche lì, unitamente alla cessione di feltri alla popolazione, «senza nessuna divulgazione sulla presenza di amianto e sulla pericolosità che essi veisolavano». Infine è stata illustrata - in parte - l’appello della difesa del belga Louis de Cartier, che gestì Eternit (secondo la sentenza di 1° grado) dal 1966 fino al 1972, anno in cui la maggioranza passò agli svizzeri. Tra le questioni elencate l’incompetenza territoriale, la mancata traduzione degli atti, la non ammissione dei testi, la dimostrazione delle malattie caso per caso... Oltre alla posizione personale di De Cartier, che la difesa ha sempre descritto come molto defilata rispetto ai veri decisori. Si prosegue mercoledì e venerdì per concludere con la relazione sugli appelli della difesa e poi delle parti civili.

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Silvio Morando

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