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PROCESSO ETERNIT / Lunedì in aula l’ex sindacalista, il tecnico Eternit e la «pasionaria»

Lunedì toccherà «alla Romana» raccontare la sua verità sulla «polvere killer», quel veleno invisibile, senza colore, senza odore, senza sapore che qualcuno ha disseminato nell’aria di Casale e che ha fatto strage nella sua e in centinaia di famiglie, in città, nei paesi vicini e in tante altre realtà. «Ogni famiglia una croce, come fosse una guerra...», s’è detto tante volte. Ma a casa di Romana Blasotti Pavesi, presidente della Associazione familiari vittime amianto, di croci se ne contano cinque. Il primo ad andarsene fu il marito Mario dipendente Eternit,, poi la sorella Libera, poi il nipote Giorgio Malavasi, funzionario del Comune di Casale e poi ancora la figlia Maria Rosa. E all’Eternit aveva lavorato solo il marito. Gli altri avevano soltanto vissuto a Casale, dove il Ronzone era tutto l’anno bianco di polvere e l’amianto era ovunque... Ma l’Eternit (non l’amianto) ha continuato la sua strage - come una persecuzione - inseguendo la sua famiglia fino in Slovenia e portandosi via anche una cugina - Anna Borsi - uccisa dal mesotelioma. Anche lì, dal 1923 - ricorda la Romana - c’era uno stabilimento Eternit. Un momento atteso a lungo Un momento a lungo atteso perché Romana ha vissuto il processo come un traguardo importante per portare un po’ di luce sulla strage e sui responsabili, un po’ di giustizia dopo tanto dolore che - lo ha detto tante volte, Romana - ha asciugato le sue lacrime ma non le ha tolto la voglia e la forza di lottare per una battaglia che è soprattutto di civiltà. Una battaglia contro le speculazioni, per la vita, nella speranza che questo processo aiuti a mettere la parola fine sull’utilizzo dell’amianto che continua ancora in tanti Paesi del mondo. Dal Canada, all’India, alla Cina, all’Africa, all’America Latina intere popolazioni sono inconsapevolmente condannate, come nei decenni eravamo condannati noi italiani, paese povero, colonizzati dalla multinazionale dell’amianto con la promessa di un benessere del quale era stato taciuto il prezzo. Un momento a lungo atteso perché in questi primi mesi di udienze Romana ha sempre voluto essere a Torino anche se non ha mai potuto assistere alle udienze, proprio perché poteva essere citata come testimone. E il processo l’ha vissuto leggendo i giornali, guardando i tiggì, nel racconto della gente. Nella dimensione sociale, non - invece - nella dimensione giudiziaria, proprio lei che per mille motivi è in prima linea da 30 anni, quasi una guida spirituale dei tanti che oggi hanno trovato il coraggio di far sentire la loro voce, a cui la sua tenacia ha fatto comprendere che dire con voce ferma «Eternit: giustizia!» non è vano... Gli altri due testimoni Ma all’udienza di lunedì ci saranno anche altri due testimoni importanti, Mauro Patrucco, ed Ezio Bontempelli. Il primo ex operaio Eternit e sindacalista fu licenziato nel novembre del 1976 perché aveva protestato in occasione di uno dei consueti polveroni nei quali si trovava a lavorare all’Eternit. I filtri si intasavano, o chissà cosa succedeva, e l’aria già normalmente polverosa, diventava irrespirabile. La testa della piovra Bontempelli, anche lui ex dipendente Eternit, era invece un tecnico a cui era affidata la gestione del SIL (il Servizio di igiene del lavoro), lo stesso servizio nel quale lavorava anche il casalese Ettore Bellingeri, l’attuale assessore all’Urbanistica della giunta Demezzi. Il SIL era l’interlocutore del sindacato per tutte le questioni relative all’ambiente di lavoro, che era una preoccupazione costante dei lavoratori e dei sindacati. Quando Bontempelli fu sentito dai magistrati nel 2006 emersero informazioni molto interessanti sull’organizzazione, internazionale di Eternit e sul fatto che - a quanto pare - la testa della piovra dell’amianto fosse proprio in Svizzera. A Casale era infatti distaccata la direzione tecnica di Eternit Italia che coordinava il SIL dal punto di vista tecnico. Ma il riferimento vero e proprio era tal dottor Robock che risiedeva a Neuss, presso Dusseldorf e che era un consulente esterno - a quanto ne sapeva lo stesso Bontempelli - ingaggiato dagli Svizzeri. Era lui che diramava le direttive tecniche a tutti i SIL che operavano negli stabilimenti Eternit collocati in molte parti del mondo. E che Robock fosse consulente Eternit a livello globale era un fatto noto perché ogni anno veniva convocata una riunione in cui ci si confrontava su metodologie e problematiche tecniche. Conoscenze... Un altro aspetto importante è quello relativo alla consapevolezza delle patologie causate dall’amianto ma anche alle pressioni che inevitabilmente l’azienda esercitava per far passare determinati messaggi. Pressioni che Eternit cercava di esercitare persino all’esterno: si pensi alle minacce più o meno velate nei confronti del medico americano Irving Selikoff a metà anni Sessanta e - all’inizio degli anni Ottanta, con lo stesso metodo - sull’allora presidente del Comprensorio Riccardo Coppo. Bontempelli fu assunto nel 1977 e - ha detto ai magistrati - sapeva che l’amianto poteva provocare asbestosi e tumore al polmone, mentre per il mesotelioma aveva più dubbi. Argomenti di cui si parlava con Robock e nelle discusioni era emerso che se il tumore al polmone poteva essere frutto a varie concause, il mesotelioma pareva correlabile solo all’amianto. Del resto proprio nel 1976 L’IARC (International Agency for Research on Cancer) di Lione e l’OMS avevano ribadito la nocività dell’amianto blu e proprio sul Monferrato era resa nota la presa di posizione di un medico del lavoro - Pino Invernizzi che aveva ribadito che l’amianto provoca cancro «alla pleura, allo stomaco e alla laringe...». ...e pressioni Bontempelli sapeva anche degli studi di Selikoff, lo aveva incontrato a un congresso e ne conosceva gli scritti. Ma nel 1983 e nel 1984 - in qualità di tecnico Eternit (è qui che entrano in gioco le pressioni?) - finisce per partecipare alla conferenza stampa dove Emilio Costa e altri pezzi grossi negano la pericolosità dell’amianto blu, facendone quasi la pietra filosofale delle sorti progressive dell’umanità: senza di esso - avevano detto - saremmo tornati all’età della pietra. Pietra si badi bene... «naturale», dura, compatta, che non si può respirare. Roba da cavernicoli, insomma. Non quella «artificiale», del (nefasto) reparto Petralit, che tanto «progresso» ha portato... nelle casse della multinazionale. FOTO: Ritratto di Romana Blasotti Pavesi della fotografa Sara Casna. Sotto l'articolo del novembre 1976 sul «caso polvere»

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Augusto Olearo

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