IL COMMENTO DI GIANNI TURINO / La polvere che impestava il Ronzone ai tempi dell'Eternit e i rintocchi della «campana»
di Gianni Turino
Riceviamo e pubblichiamo
Leggo il “servizio - sul processo Eternit pubblicato sul numero di martedì scorso: Massimiliano Francia riferisce, con la solita precisione e chiarezza, di come il consulente dell’Eternit – un professorone universitario - abbia cercato di menare il can per l’aia raccontando la rava e la fava ed arrivando a collocare, fra le cementerie che impestavano il Ronzone negli anni ’70 (deduco il periodo dal fatto che nomini la Milanese & Azzi come Fibronit e la Marchino come Unicem) la Cementi Rossi che non era a Casale ma a Piacenza.
Delle altre, in quel periodo solo la Milanese & Azzi (Gruppo Fibronit) al Ronzone e la Unicem a Morano sprigionavano fumo dalle ciminiere in quanto sia la Bargero che la Gabba & Miglietta non “cuocevano” più da tempo limitandosi a macinare il clinker che arrivava già cotto da altri stabilimenti.
Polvere Eternit: Lo stabilimento del Ronzone aveva all’interno almeno tre aspiratori, marca “Govoni”, che aspiravano parte dei rimasugli volanti dell’ amianto e lo sputavano all’ esterno ad uso e consumo della cittadinanza.
C’erano anche, mi pare ogni tre o quattro finestre, dei ventilatori della specie, in grande, di quelli che si mettevano un tempo (disgraziatamente non più) sui vetri delle abitazioni che avevano verosimilmente lo scopo di far entrare nei reparti aria esterna; ma con l’aria esterna ripescavano, va da sé, parte del polverino.
Dallo stabilimento del Ronzone uscivano ininterrottamente cammion scoperti carichi di prodotti Eternit che venivano trasportati dall’altra parte della città, in Piazza d’Armi (sede del grande magazzino dell’azienda). Inoltre, sempre con carico rigorosamente scoperto, viaggiavano i mezzi con i ritagli che venivano eliminatii nella discarica, (o nei cortili, o nei sapelli, o nelle carrarecce o negli oratori, ecc. per isolare i solai o consolidare il terreno; ma a consolidarsi era il cemento mentre il polverino d’amianto se ne andava per l’aere…).
Lo stabilimento continuava a scaricare nel Canale e nel Po torrentini di scarti di lavorazione generando isolette di pericolosissime sabbie mobili.
All’inizio del 1974 fra la proprietà dell’azienda e le forze sindacali e politiche della città, si trattò per costruire un nuovo stabilimento (quello del Ronzone era fatiscente e non ristrutturabile) in zona industriale; la parte sindacale era condotta da Tacchino per la CISL e da Migliora per la CGIL. Nel nuovo stabilimento doveva essere realizzata una produzione, già sperimentata all’estero, che escludeva l’amianto ( cemento, cellulosa ed una fibra orientale) ed era perciò ecologica. Ma il progetto sfumò, anche per alcuni errori dell’amministrazione pubblica, ma soprattutto per il fatto che la concorrenza (Sacelit, Fibronit) avrebbe continuato a produrre con amianto e cemento, più affidabile sul mercato e più economica.
Sul finire degli anni ’70 e seguenti il Ronzone fu invaso da ritagli di Eternit provenienti anche dalla Sicilia che venivano scaricati nell’area della “Piemontese” dirimpettaia allo stabilimento Eternit e macinati a cielo aperto da trattori cingolati i quali sollevavano nuvole di pulviscolo generando nei dintorni una autentica fittissima nebbia.
C’è da sottolineare - abbundandis abbundandum, direbbe Totò - che l’Eternit in quel periodo realizzò, senza grande successo, anche casette prefabbricate (una era esposta all’ingresso del viale che dava sui magazzini di piazza d’armi) ; qualcuna si vede ancora fra il verde delle nostre colline.
Ritagli di Eternit giacciono ancora un po’ ovunque , nelle spiarde delle colline e nelle rive e nei boschi del Po; (oltre alle coperture sui tetti ed ai residui sui solai e nel sottosuolo, a volte basta solo grattare per rivederlo, di tanti cortili del casalese).
E non c’è quasi settimana che la campana non rintocchi per via di quella ”fibra”...