L'APPROFONDIMENTO / Eternit, il «manuale» delle menzogne mortali. Un inquietante documento emerso dall’inchiesta
di Massimiliano Francia
«Riconosciamo che l’amianto può rappresentare un serio pericolo per la salute dell’uomo se esso viene trattato in maniera scorretta».
E ancora: «Ci rendiamo conto che questo rischio potenziale nei confronti della salute viene usato da molti come motivo base per poter screditare l’amianto in maniera decisamente esagerata. Dal momento che questa diffamazione può mettere a repentaglio l’esistenza della nostra industria dobbiamo reagire in maniera decisa e dobbiamo combattere con tutti i mezzi».
È un passaggio di quello che viene definito il «manuale» - presumibilmente destinato ai dirigenti di Eternit - letto in aula dalla pm Sara Panelli nel corso dell’ultima udienza del maxiprocesso Eternit di Torino, che vede lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne accusati dalla Procura di Torino per disastro doloso continuato e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro. Manuale datato ottobre 1976, all’inizio del cosiddetto «periodo svizzero», e che appare come un vero e proprio prontuario di domande e di risposte per gestire la comunicazione e l’immagine rispetto al rischio amianto, con lo scopo preciso di sminuirlo, mistificarlo, negarlo.
Ma cosa vuol dire «discreditare l’amianto in maniera decisamente esagerata»?
La risposta la si può trovare nel manuale stesso dove si affronta il primo caso ritenuto emblematico - quello di un avvocato, il «Sig. Smith» - che sta conducendo una battaglia contro la realizzazione di uno stabilimento in cui si lavora cemento-amianto allo scopo di far cessare la produzione.
Lo scalpore per lo zio morto
Nell’esempio si spiega che «il signor Smith fa tanto scalpore perché suo zio è morto circa 20 anni fa per asbestosi».
Un approccio inquietante ma emblematico perché palesa quale sia la considerazione della vita umana, tenendo conto che si parte dal presupposto di combattere la battaglia in difesa dell’amianto in sintonia con le altre aziende che lavorano il cemento amianto «per la difesa degli interessi comuni».
Il secondo caso è rappresentato dagli abitanti del quartiere parte dei quali (definiti «estremisti»!) chiedono la cessazione dell’attività. Oppure, quello in cui - in un cantiere - parte dei lavoratori rifiutano di utilizzare materiali in cemento-amianto; quello in cui i lavoratori stessi dello stabilimento chiedono che si raggiunga un livello di esposizione zero, o la compagnia che abbraccia l’utilizzo di materiali alternativi (fibra di vetro). Conseguenze, si ipotizza, della messa al bando dell’amianto avvenuta, a metà anni ‘70, in Svezia.
Per ogni casistica è pianificata tutta una serie di opzioni e di mosse.
L’ultimo esempio è quello del giornalista, il «Signor Press», definito «molto critico e pungente».
Le domande e le risposte
Ma la parte più significativa del «manuale» è forse quella dei quesiti che propongono le questioni più gravi e scottanti legate all’utilizzo dell’amianto, con risposte che alla luce di quanto sta emergendo nel processo in corso a Torino, dai ricordi degli ex lavoratori, degli abitanti del Ronzone e da molti altri cittadini sono del tutto fuorvianti o false.
Quesiti accompagnati - come accennavamo - da risposte «standard» che costituivano la traccia a cui attenersi per affrontare le questioni.
Un elenco decisamente articolato che dimostra la consapevolezza delle gravi problematiche che esistevano riguardo alla lavorazione dell’amianto, ma anche il fatto che i problemi venivano sollevati in tutta la loro gravità.
Il primo: «Perché continuate a produrre amianto-cemento con l’amianto nonostante sia noto che si tratta di una sostanza pericolosa»?
La risposta del manuale evidenzia le proprietà e le molteplici applicazioni dell’amianto-cemento e il fatto che la percentuale di amianto presente nell’impasto è «soltanto l’8-12%».
In più si afferma che l’amianto «come tale» non è pericoloso e soltanto se viene respirata polvere a granulometria sottile «si può pervenire a delle malattie polmonari».
Fibre lunghe e fibre corte
Affermazione verissima: Eternit sapeva - dunque - che l’amianto grezzo non è pericoloso perché le fibre lunghe non sono inalabili. Ma quello che Eternit indubbiamente sapeva - ma tace - è che proprio la lavorazione e la macinazione del minerale effettuata nei suoi stessi stabilimenti prima dell’impasto è ciò che le rende respirabili. E con questo non solo pericolose ma mortali.
Cancerogeno dal 1952!
Secondo quesito: «Perché fino ad ora avete negato l’esistenza di questo pericolo?»
La risposta sottolinea che il rischio fino a pochi anni prima non era noto, che il periodo di latenza delle malattie è molto lungo e - inoltre - che il vero «fattore decisivo è il fumo delle sigarette».
Siamo nel 1976. Quanti sono pochi anni? Quindici? Venti? Un testimone in aula a Torino ha affermato che già dal 1950 l’amianto era stato «dichiarato cancerogeno». E che il rapporto asbesto-mesotlioma era chiaro dal 1962.
Terza domanda: «I vostri dipendenti sono stati informati di questo pericolo?»
La risposta «standard» fornita dal manuale è che i lavoratori sono stati informati tramite la diffusione di opuscoli, ma molte delle testimonianze vanno in direzione esattamente contraria.
A partire dall’ultima rilasciata lunedì scorso da un ex ingegnere dell’Eternit.
4. Che cosa fate per proteggere i vostri lavoratori?
«Le fibre di amianto vengono spedite in sacchi di plastica chiusi ermeticamente», è la risposta. Ma si accenna anche a strumenti di captazione delle polveri, misurazioni costanti dei livelli di polverosità, pulizie con aspirapolvere, abiti messi a disposizione dall’azienda che poi vengono lasciati in fabbrica e bonificati dalla società, regolari controlli medici. Eternit dunque sapeva che dovevano essere prese precise precauzioni ma anche qui la realtà descritta dai lavoratori è ben diversa: sacchi di juta spesso rotti, che venivano fatti rammendare senza neppure averli lavati, o venivano addirittura regalati alla gente che ci metteva dentro le patate.
Filtri nei condotti di aspirazione frequentemente intasati e fuori uso e - negli stabilimenti - un mare di polvere. Però si continuava a lavorare.
Le lavoratrici andavano persino a casa di corsa sfruttando l’ora di pausa concessa per allattare i figli. Anche loro con il grembiule del lavoro addosso perché il tempo era poco, ma soprattutto perché non immaginavano a quale terribile rischio sottoponevano i loro bimbi.
E infatti il quesito successivo è: «Cosa fate per proteggere i familiari dei vostri lavoratori?». Risposta: «Non c’è alcun pericolo per le famiglie». Aggiungendo poi «...fino a quando gli abiti da lavoro sporchi non vengono portati a casa».
Quindi c’era la consapevolezza che lasciare che gli indumenti da lavoro uscissero dagli stabilimenti significava diffondere nell’ambiente materiali pericolosi, ma era sotto gli occhi di tutti che ogni giorno centinaia e centinaia di lavoratori andavano e venivano in bicicletta con la tuta da lavoro piena di polvere, passando dal panettiere, dal parrucchiere, dall’alimentari e che quella tutta se la toglievano solo a casa magari dopo avere abbracciato i figli. Poi finiva nelle mani delle mogli che le scuotevano e le lavavano. Molte, come noto, sono morte di asbestosi o di mesotelioma.
Tutte situazioni che non sono «ipotesi narrative» ma precisi racconti di testimoni.
Altro quesito: «Non è arrivato il momento di considerare il pericolo anche per coloro che vivono nei pressi dello stabilimento»?
Risposta: «No, l’emissione della polvere, se c’è emissione di polvere, è così bassa e limitata allo scarico di filtri che può essere esclusa in maniera assoluta l’esistenza di pericolo per coloro che abitano nei pressi dello stabilimento».
E anche in questo caso le testimonianze vanno in direzione completamente opposta e descrivono un quartiere e una città dove persino i colori erano cancellati dal pulviscolo di cemento e amianto. Dove lo strato di polvere per strada al Ronzone si misurava in strati di centimetri. Senza contare il polverino regalato alla gente come coibente per i sottotetti, o per pavimentare i cortili.
E poi il problema di coloro che lavorano o trasformano l’amianto-cemento, come per esempio i muratori, il rischio legato ad «abrasioni» e al «normale deterioramento» dei tetti in eternit.
«Il deterioramento - afferma il manuale - è dovuto esclusivamente a negligenza».
La colpa dunque sarebbe in ogni caso di chi lo utilizza e non di chi produce materiali ficcandoci dentro l’amianto.
Poi rispunta la menzogna sulla granulometria là dove si afferma - rispetto al materiale che si dovesse eventualmente distaccare - che «in ogni caso si tratta per lo più di fibre lunghe o di fasci di fibre».
E ancora: «Sembra che i condotti di ventilazione siano particolarmente dannosi poiché le installazione per l’aria condizionata fanno sì che la polvere di cemento-amianto venga messa in circolazione più volte».
Rischio negato (manco a dirlo...) perché l’amianto - dice il manuale - è «completamente amalgamato con il cemento».
E avanti così: «Perché usate ancora l’amianto blu pur sapendo che questo è particolarmente dannoso?
«Non ci sono dati scientifici - è la risposta di Eternit - che provino la pericolosità dell’amianto blu».
Una tesi sostenuta almeno fino agli anni ‘80, è emerso in aula, dai massimi responsabili di Eternit.
E le fibre alternative? Eternit la butta lì: chi dice che non sarebbero parimenti pericolose?
Fino al gran finale: Non sarebbe più sicuro e più efficace bandire semplicemente i prodotti in cemento-amianto?
«L’amianto cemento può essere considerato senz’altro un materiale non pericoloso. Non esiste alcun rischio se viene maneggiato con cura e usato in maniera adeguata».
E ritorniamo lì, alla negligenza degli utilizzatori, con buona pace della migliaia di morti che forse non avranno incautamente maneggiato l’eternit ma hanno sicuramente respirato (incautamente!?!) la polvere qualcuno ha disperso a Casale e nei Comuni vicini per difendere i (loro) «interessi comuni» e l’amianto dal rischio della... «diffamazione»!