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Riferimento paradossale di un consulente di Schmidheiny al Processo Eternit: «Secondo alcuni il mesotelioma non esiste»

Molti dei 640 nominativi indicati nell’elenco consegnato la scorsa settimana al Tribunale del Processo Eternit dall’avvocato Cesare Zaccone, difensore di Jean Louis de Cartier, in quanto impiegati all’Eternit prima del 1966, (data il barone belga entra nel cda della multinazionale dell’amianto) hanno in seguito ripreso a lavorare; «ma è stata presa in considerazione solo la data di cessazione del rapporto di lavoro». La questione ieri al Processo Eternit è stata sollevata dall’avvocato Sergio Bonetto a cui si sono poi associati molti altri avvocati, in aula per difendere le migliaia di vittime causate dall’Eternit. «Ma oltre a ciò - spiega l’avvocato casalese Roberto Nozenzo, che in aula rappresenta un consistente numero di famiglie danneggiate dall’amianto - le costituzioni di parte civile che ho curato, così come credo di norma abbiano fatto tutti gli altri avvocati, sono state presentate sia in quanto ex lavoratori sia come cittadini esposti al rischio ambientale» causato dalla dispersione di enormi quantità di amianto nel territorio. La questione se debbano o no essere cancellati dal processo come parti civili resta per ora in sospeso in attesa che il Tribunale decida. Le tesi della difesa In aula ieri, lunedì, ancora due consulenti della difesa di Stephan Schmidheiny, accusato con de Cartier di omissione di misure antifortunistiche e disastro doloso permanente. Il primo, Gary M.Marsh, docente all’università di Pittsburg e proveniente dagli USA, ha sostanzialmente teso a dimostrare due risultati. Primo: dimostrare che dopo il 1975 (quando a capo di Eternit c’erano gli svizzeri) il rischio è decisamente più contenuto che nel periodo precedente (conduzione belga), come comproverebbe - ha detto - il minore numero di patologie che si sono sviluppate tra i lavoratori assunti dopo tale data. Secondo: minare la credibilità degli studi dei consulenti della Procura. Lo ha fatto riesaminando gli studi di Corrado Magnani, che Marsh ha fortemente criticato per la metodologia, in quanto - per esempio - avrebbe usato dati non omogenei. È possibile inserire dati di gruppi classificati in modo diverso se si usa il software che ha usato lo stesso Marsh per il proprio lavoro, ha replicato Corrado Magnani, professore associato di statistica medica a Avogadro a Novara e consulente della Procura nel Processo Eternit. Marsh - del resto - non ha fatto una propria ricerca o indagine, ma si è limitato a fare una sorta di controperizia allo studio di Magnani. I dati dello studio dell’epidemiologo piemontese sono stati riaggregati da Marsh in tre gruppi diversi: chi ha smesso di lavorare all’Eternit entro il 31 dicembre 1974; coloro che sono stati assunti prima del ’75 e hanno smesso di lavorare dopo quell’anno e gli assunti dopo il ’75, anno in cui entra in scena Schmidheiny, e in cui a sentire i consulenti dello svizzero tutto è cambiato. Viene da sorridere a sentire le testimonianze di chi ricorda che nei reparti dell’Eternit c’era la «nebbia» e si sentiva la voce delle persone ma non si riusciva a vederle. Il secondo consulente, Canzio Romano, è invece tornato in aula per parlare dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche in merito alle patologie amianto. Tre i concetti che era interessato a sostenere. Uno: le conoscenze all’epoca non erano né certe né diffuse. Persino Wagner e Selikoff, i primi a studiare il nesso ha sostenuto (ma nel 1955 il britannico Doll aveva messo in relazione amianto e tumore al polmone, ndr), avevano dubbi e perplessità. Quindi come pretendere che gli imprenditori fossero a conoscenza dei rischi? Le note interne di Eternit Che dire però della circolare diffusa venerdì, 18 giugno 1976 da Eternit AG in tre lingue - tedesco, francese e italiano - per informare i dipendenti dei rischi che comportava la lavorazione dell’amianto, con un riferimento specifico ai rischi di cancro polmonare, alla pleura e al peritoneo, e che è agli atti del processo? E della nota con la quale il 14 febbraio 1973 la Direzione Marketing di Eternit scriveva alla Direzione Generale allegando un articolo uscito pochi giorni prima - il 21 gennaio 1973 - sul «New York Times Magazine», a riprova di quanto fossero attenti i dirigenti a tutte le questioni relative ai rischi legati all’amianto. Articolo «la cui gravità nei riflessi delle nostre industrie lascio a Voi stessi giudicare», scrive l’estensore della nota, rispettosamente indicando i destinatari con la maiuscola! Chissà chi erano... E il dibattito sui giornali... E che dire - ancora - delle evidenze relative alla consapevolezza della pericolosità dell’amianto proprio in merito al mesotelioma, argomenti che nel 1976 venivano sottoposti ai dirigenti dai sindacalisti e che erano giunte sulle pagine del nostro stesso giornale: settimanale locale, mica rivista scientifica o medica! Secondo: Romano ha ribadito i propri dubbi sulla attendibilità delle diagnosi (per minare la credibilità degli studi) in mancanza di esami immunoistochimici. Quindi i dati del passato, quando quel tipo di accertamenti non era possibile farli, non sono riconfermabili? Gli ha chiesto l’avvocato Bonetto. «Esatto», ha risposto il consulente. Dati su cui si basano proprio le ricerche di Selikoff e Wagner e su cui si è fondata l’intera comunità scientifica, che da decenni ammette l’esistenza delle malattie causate dall’amianto e cerca persino - si pensi un po’ - di curarle. Dati che il professor Romano però ritiene non sufficientemente attendibili. E del resto - lo ha ricordato ieri in aula - qualcuno ha persino messo in dubbio che il mesotelioma esista! Follie... E poi - terzo concetto già esposto da Romano a dicembre - «conta solo la prima esposizione». Come dire: la colpa è tutta dei belgi che hanno gestito prima del 1975. La «Trigger Dose» La «Trigger Dose» è la teoria della prima fibra quale unica responsabile del tumore alla pleura. È stata al centro di un piccolo approfondimento da parte del giudice Giuseppe Casalbore: «Dice che la Trigger Dose non le piace ma a giudicare come parla sembrerebbe di sì....», ha detto il presidente al professor Canzio Romano. Il consulente di Schmidheiny si è arrampicato sugli specchi sostenendo che una fibra non basta, ma la prima esposizione sì. Poi si è corretto e ha parlato di «prime esposizioni». Ma quante fibre?, lo ha incalzato Casalbore per definire «scientificamente» la «prima dose», in modo che fosse un concetto utilizzabile concretamente. La domanda è rimasta senza risposta: «Nessuno è in grado di dirlo...». Allora la colpa non è solo di chi ha fatto respirare ai monferrini, ai napoletani, eccetera... l’amianto per primo?

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Monica Quirino

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