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Documento a sopresa al processo amianto: una lettera del sindaco di Casale Riccardo Coppo a Stephan Schmidheiny datata 1985

È entrato prepotentemente nel megaprocesso amianto in corso a Torino il nome del magnate svizzero Stephan Schmidheiny, imputato con il barone belga Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne per disastro doloso continuato e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro. Proprio a Stephan Schmidheiny - in qualità di «maggiore azionista della Eternit» l’allora sindaco di Casale Riccardo Coppo aveva scritto nel settembre nel 1985 una lunga lettera. Una lettera articolata in cui si parla di molte cose: della crisi industriale e occupazionale, dell’esigenza di rilanciare l’attività con fibre alternative all’amianto perché – sottolineava Coppo che ha letto ieri la lettera, poi acquisita agli atti, nel corso dell’udienza - «il più grave motivo di preoccupazione resta quello della lavorazione dell’amianto per le conseguenze sulla salute dei lavoratori e della popolazioni tutta dell’area casalese. A parte l’asbestosi, indagini denunciano l’incidenza di tumori polmonari e di mesotelioma enormemente superiori alla media nazionale». Un nome, quello dello svizzero, individuato dalle verifiche dei funzionari del Comune e al quale Coppo si era rivolto dopo che dai massimi vertici italiani – di Casale e di Genova, tra cui Leo Mittelholzer – non era riuscito a ottenere risposte soddisfacenti. Coppo inviò la propria lettera anche al prefetto Francesco Lessona il quale fece una accorata comunicazione a ben quattro ministeri: Sanità, Interno, Industria e Previdenza Sociale. Deposizione decisiva Le preoccupazioni per le conseguenze dell’amianto sulla salute dei casalesi – ha raccontato Coppo ai magistrati in una lunga deposizione che ha portato probabilmente elementi decisivi per l’inchiesta sul disastro causato dall’amianto a Casale – sono iniziate per lui nel 1980, «ma già negli anni Settanta a Casale si aveva la percezione di una forte incidenza di malattia professionale – l’asbestosi - a cui era associata anche l’insorgenza di alcuni tumori polmonari. «Io sono venuto a conoscenza della parola mesotelioma soltanto nell’autunno del 1980 e a informarmi fu un medico casalese, Ezio Musso, che era ordinario di medicina all’Università di Parma. Mi disse: “Io sono venuto da te perché sono stato a visitare mia mamma a Casale che sta morendo di mesotelioma. È un tumore maligno alla pleura associato alla esposizione dall’amianto. Ti lascio un dossier con studi americani sul mesotelioma dove si dimostra che le polveri di amianto vengono riscontrate anche a 27 chilometri da dove si lavora e che la mortalità è legata anche a brevi esposizioni; sono citati casi di persone che hanno lavorato anche per pochi mesi. Sono venuto a informarti perché tu sappia qual è il pericolo che corre la tua città, in cui tu sei consigliere comunale”. Questo fu un incontro che mi cambiò il cervello e mi fece capire che eravamo in presenza di situazione drammatica e di un rischio elevatissimo per tutti i cittadini casalesi. «Nei documenti che mi diede - ha aggiunto Coppo - si parlava del 1936, quando in Sudafrica era già stata notata la correlazione tra esposizione all’amianto e alcune forme tumorali». Le pressioni Eternit Iniziò così un periodo difficile, con le pressioni da un lato legate alla sopravvivenza di una azienda che dava lavoro a centinaia di famiglie, l’esigenze di superare il problema amianto ma anche il timore che «Eternit aprisse una unità produttiva senza fibra killer altrove, aggiungendo al danno la beffa». Ma se la fibra alternativa e lo stabilimento non presero mai consistenza, Coppo fu oggetto di pressioni per continuare sulla strada dell’amianto. «Nel 1982-83, mentre ero presidente del Comprensorio - ha raccontato - mi venne fatta la richiesta da parte del presidente della Associazione mondiale produttori asbesto di avere un incontro. Accettai e ricordo che parteciparono il dottor Costa e alcuni suoi collaboratori in rappresentanza dell’Eternit: quell’incontro fu non facile perché di fatto venni messo sotto pressione; mi dissero che questa posizione di avversione all’amianto era del tutto ingiustificata perché la mortalità da mesotelioma era irrilevante rispetto a quella per i tumori da fumo e che fossi molto più prudente nel ravvisare responsabilità sulla Eternit per insorgenza di questo tumore, in quanto amianto veniva impiegato anche nei ferodi dei freni: e quindi la mortalità per mesotelioma poteva essere causata da altri fattori e non dall’Eternit». Con il collega Paolo Ferraris, poi morto di mesotelioma, Riccardo Coppo esamina i registri dei certificati di morte e comincia a mettere in piedi una mappa per localizzare la residenza delle vittime per capire la dimensione del problema. «Dai certificati avemmo conoscenza che i medici casalesi nel 1970 già diagnosticavano il mesotelioma. Negli anni ’70 il problema era noto, conosciuto e diagnosticato». «Il toro per le corna» Intanto il tempo passava, l’Eternit non rispondeva né sul miglioramento ambienti di lavoro, né sulla fibra alternativa e allora Coppo scrive la lettera a Schmidheiny. Nessuna risposta salvo che poi entra in gioco Eternit France con il tentativo di far ripartire alcune linee di produzione proprio a Casale. Così, dopo l’acquisto dei magazzini, Coppo decide di «prendere il toro per le corna» e si arriva alla sua ordinanza del 1987 che metteva al bando l’amianto in città, emessa nonostante i pareri legali fossero critici e si temesse che venisse impugnata: «Cosa che poi Eternit fece di fronte al TAR», ha ricordato Coppo, senza seguito. Ordinanza pubblicizzata dai giornali e con affissioni. Col polverino sulla moto Coppo ha poi ricordato gli usi impropri, «i cittadini che si procuravano dall’Eternit la tornitura e polvere fin dagli anni 60 nei pressi dello stabilimento. C’era un’area di fronte allo stabilimento dove veniva depositato il polverino insieme ad altri materiali e si poteva prenderlo. I contadini andavano persino con il bue o con il cavallo a prelevare il materiale per cortili o stradini; l’impiego dei feltri, teli intrisi di amianto. So di persone che andavano anche con la motocicletta». Può dirci i nomi? «Certamente - ha detto Coppo - uno è mio suocero». E in che periodo avveniva ciò?, ha chiesto il magistrato. «Con certezza negli anni Sessanta e Settanta». Massimiliano Francia

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