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I dazi? Li pagheranno i consumatori
Intervista a Gian Maria Gros-Pietro, presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo

Non ci sarà un ritorno, ma un’inedita evoluzione. Scenari nuovi, impensati e impensabili, difficilmente prevedibili, rispetto ad una rinnovata ciclicità delle epoche socio-economiche e culturali dominate da potenza e, anche, prepotenza. Gli equilibri internazionali, maturati in decenni relazioni, impegno e diplomazia, imploderanno e, non certo, per causa dei dazi, piuttosto, minacciati dal potere finanziario, informatico e delle comunicazioni. Il disegno sarebbe, infatti, più grande e articolato: destabilizzare e avanzare, basandosi su visione, improvvisazione e azione di forza, quest’ultime, entrambe componenti del nuovo modo di essere e di governare.
Che ne sarà della democrazia, dell’etica e dei diritti conquistati? Che ne sarà dell’Europa e, in particolare, dell’Italia? Il bel Paese, geograficamente appetibile, diverrà “provincia” cinese, sovietica o americana…? Ne abbiamo parlato con l’economista e Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro.
“All’annuncio di dazi del Presidente degli Stati Uniti hanno risposto contro-annunci di altri attori del commercio internazionale e se a questi seguissero i fatti, le merci tassate costerebbero di più ai consumatori, in particolare, ai più poveri. Per contro, con l’incasso dei dazi, gli States potrebbero ridurre la tassazione interna che, essendo proporzionale al reddito, favorirebbe i più ricchi. Inoltre, la guerra dei dazi frenerebbe la globalizzazione, che porta a produrre laddove costa meno, quindi, comporterebbe un aumento generalizzato dei prezzi”.
Cosa ci dice della situazione di crisi negli Stati Uniti?
“Gli States hanno un deficit strutturale nello scambio di merci, che compensano, in parte, con un surplus nello scambio di servizi (in particolare, finanziari e digitali) e in parte emettendo titoli del debito pubblico americano. Al 31 dicembre scorso erano in circolazione 36.200 miliardi di dollari di Treasury (titoli di Stato a stelle e strisce), di cui 6.400 in scadenza a fine 2025. Un debito parzialmente finanziato da altri Paesi: 1.800 miliardi di dollari dall’Unione Europea, 1.060 miliardi di dollari dal Giappone e 1.001 miliardi di dollari da Cina e Hong Kong. L’imposizione di alti dazi asimmetrici potrebbe ridurre la disponibilità di questi sistemi ad acquisire i titoli USA, in passato sempre stati ben accolti. La Cina, per esempio, ha iniziato a non rinnovare i titoli in scadenza: incassa il rimborso, ma non riacquista altri titoli. Ciò, rende difficile collocare quelli che il Treasury deve emettere in sostituzione di quelli scaduti; per coprire l’esborso, deve offrire rendimenti più elevati, il che, pesa sui conti pubblici e fa salire il dollaro, rendendo meno convenienti le merci USA. Le politiche avverse contro la Cina, poi, come le restrizioni all’esportazione di chips ad alte prestazioni per l’IA (Intelligenza Artificiale), possono avere l’effetto di stimolare la crescita tecnologica cinese. E’ il caso di Deep Seek, una IA cinese che, grazie a software avanzati, ottiene risultati migliori con chips meno complessi, meno costosi e meno energivori”.
Il problema va dunque oltre i dazi e disavanzi?
“Esatto. Ritengo che il confronto più importante sia sui poteri finanziario, informatico e delle comunicazioni che, di fatto, esercitano, nel loro insieme, il vero controllo di ogni politica e strategia. Rispetto ad essi, gli Stati Uniti sono oggi il sistema più avanzato e più dinamico. Una delle ricadute di questo primato può essere ravvisata, per esempio, analizzando come le comunicazioni delle ultime settimane abbiano determinato la volatilità di mercati e borse, offrendo potere e profitti agli operatori ben informati”.
Di fronte a imprevedibilità e azioni di forza, le controparti restano deboli, impreparate e frammentate. Dalla Russia all’oltreoceano, il nuovo sistema pare essere impostato su principi di supremazia. “In questo scenario, l’Italia, piccola e parte di una struttura insufficientemente coesa, quale è ancora quella europea, resta una zona rischiosa, configurandosi appetibile, ad esempio, per le basi navali stabili che può ospitare sul Mediterraneo, cerniera tra l’Europa e un continente in rapida crescita qual è il continente africano”.
Quale alternativa alla resa incondizionata al più forte?
“Credo occorra dialogo e che le nostre imprese investano su una grande caratteristica che, da millenni, le contraddistingue: puntare sulla capacità intellettuale, trasferendo le conoscenze pure in applicazioni. Solo così, l’Italia potrà sperare nelle alleanze migliori”.
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