INCHIESTA / Quando Max Schmidheiny passò lo scettro al figlio Stephan
di Massimiliano Francia
Chi erano i veri responsabili di Eternit? Erano davvero i due imputati del processo penale in corso a Torino, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne accusati dalla Procura di disastro doloso continuato e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro?
Più passa il tempo e più appare chiaro che lo snodo fondamentale del megaprocesso sulle migliaia di morti causati dall’amianto non è appurare se Eternit - a Casale, Reggio Emilia, Napoli e Siracusa - abbia o no inquinato l’ambiente con l’amianto, né se negli stabilimenti fossero adottate misure atte a contenere la polverosità e la dispersione delle fibre do amianto sia all’interno sia all’esterno delle fabbriche, né se l’amianto abbia causato le migliaia di morti che sono sotto gli occhi di tutti.
Molti aspetti della vicenda amianto sono infatti evidenti, incontestabili, e persino già appurati in precedenti processi, come quello di Casale del 1993.
Evidenze che è impossibile negare, come l’esistenza di ricerche scientifiche (quelle di Doll e Selikoff) che - a partire dalla metà degli anni Cinquanta - con le quali era stato evidenziato il nesso amianto-cancro e l’inefficacia della definizione delle soglie minime di esposizione ai fini della prevenzione dei tumori; o come la mancanza di adeguate informazioni sui rischi e sulle malattie provocate dall’asbesto ai dipendenti e ai cittadini che, ai responsabili di Eternit, erano invece note. La multinazionale si preoccupava invece di occultarle, ben consapevole che se si fosse risaputo quali effetti provocava l’amianto la continuità delle lavorazioni e l’esistenza stessa delle aziende sarebbero probabilmente venute meno.
Chi tirava le fila?
Lo snodo dal punto di vista della responsabilità penale è dunque appurare se fossero davvero De Cartier e Schmidheiny a tirare le fila della multinazionale della polvere killer. E perché non abbiano mai fatto nulla dal 1986 a oggi per contenere il rischio provocato dalla dispersione soprattutto degli scarti di lavorazione, come il polverino, i feltri e tutto quanto irresponsabilmente disperso nell’ambiente è ancora oggi - purtroppo - causa di rischio e danno alla salute.
Il nome del miliardario svizzero è emerso più volte nel corso del processo, dalla lettera inviatagli nel 1985 dall’ex sindaco Riccardo Coppo (lo svizzero era stato individuato dopo una ricerca degli uffici del Comune come figura di vertice di Eternit) alla esplicita ammissione dell’ingegner Silvano Benitti, ex dirigente, («era lui il padrone dell’Eternit») all’ultima lettera inviata tra gli altri a Stephan Schmidheiny dai curatori del fallimento Eternit nel 2004, con lo scopo di convocare tutti i potenziali responsabili del gruppo - formali e di fatto - per chiudere una volta per tutte la procedura, aperta dal 1986.
Nominativi di società e di persone erano stati individuati da due avvocati, un italiano e uno svizzero che avevano fatto una specifica ricerca dal 1972 al 1986, ha spiegato Carlo Castelli commercialista genovese che ha curato il fallimento della Eternit e che è stato sentito come testimone lunedì scorso nell’ambito del processo.
Stephan e i due Max
Così fra i destinatari della lettere di convocazione spuntano i nominativi dei due fratelli svizzeri accanto a quelli di alcune società, tra cui Anova AG, Eternit AG Niederurnen e Becon AG.
Ma il nome di Stephan Schmidheiny e di De Cartier emergerebbe anche da altri importanti documenti.
Secondo indiscrezioni nella deposizione rilasciata dall’ex amministratore di Eternit Luigi Giannitrapani alla Procura nel 2005 si indicherebbe esplicitamente in Stephan il vero responsabile del settore amianto, succeduto in tale in carico al padre Max a metà degli anni Settanta. Giannitrapani era divenuto amministratore delegato nel 1975 assumendo l’incarico prima svolto dal belga Vinck, nominato dai belgi prima che - nel 1973 - la maggioranza delle azioni passasse agli svizzeri.
E dalla deposizione di Giannitrapani emergerebbero i costanti contatti con Max Schmidheiny, padre di Thomas e di Stephan e - soprattutto - il crescente ruolo di quest’ultimo nella gestione del settore amianto. Il padre aveva infatti deciso di dividere la gestione dei due settori - quello dell’amianto e quello del cemento - fra i due figli e a Stephan toccò il primo.
Proprio lui assunse infatti - in base alle informazioni rese note da Giannitrapani - l’incarico del padre Max, azionista di maggioranza del gruppo e - di fatto - massimo responsabile cui facevano riferimento tutti i dirigenti.
A suggerire il nome di Stephan fu Max Graf, responsabile di Eternit Italia e al quale l’azionista di maggioranza Max Schmidheiny, offerse di succedergli alla guida del gruppo. Incarico che Graf però non si sentì di assumere.
Vinck: carta bianca in Italia
Prima di Giannitrapani era invece amministratore delegato il belga Karel Clement Jozef Vinck che era dipendente della «Compagnie Financiarie Eternit» con sede a Bruxelles e di cui era presidente proprio Louis de Cartier. Vinck viene mandato in Italia nel 1971 dal capoccia per verificare la situazione della Eternit Italia e - pur restando dipendente della compagnia finanziaria belga e non avendo alcun incarico formale in Eternit - ha carta bianca per fare le verifiche sulla situazione del gruppo.
Ne emerge un quadro di forte indebitamento (6,5 miliardi di lire, il massimo consentito dalla banche) che riferisce al gruppo belga e - a quel punto - entra in gioco anche quello svizzero. Secondo i racconti di Vinck si era sull’orlo del fallimento e de Cartier era molto preoccupato.
Vinck predispone allora un piano di intervento, approvato dagli svizzeri e in particolare da Max Graf e dallo stesso Max Schmidheiny, nel corso una riunione che avvenne a Bergamo nel 1972, avrebbe raccontato il belga alla Procura. Compresa la proposta di aumento di capitale (tra i due e i quattro miliardi), che Max Schmidheiny approvò mettendo a disposizione due miliardi e mezzo di lire, ma a condizione che fosse lo stesso Vinck a occuparsi della attuazione del piano.
Condizione alla quale de Cartier acconsentì.
Lunedì prossima udienza
Il megaprocesso amianto prosegue lunedì con le deposizioni di Antonio Bassolino, sindaco di Napoli dal 1993 al 2000 e presidente della Regione Campania dal 2000 al 2010 e Rosa Russo Iervolino (sindaco di Napoli).
I teste probabilmente indicheranno - a loro volta - altri amministratori che li hanno preceduti in incarichi amministrativi in anni passati, quando la produzione dell’Eternit di Bagnoli, quartiere di Napoli era nel pieno dell’attività.
I PASSAGGI
JOSEF VINCK
È IL MANAGER CHE NEL 1971 VIENE MANDATO DAI BELGI IN ITALIA PER VALUTARE LA SITUAZIONE DELL’ETERNIT
QUASI IN FALLIMENTO
IL QUADRO CHE DESCRIVE È GRAVE, QUASI FALLIMENTARE: 6,5 MILIARDI DI ESPOSIZIONE. DE CARTIER - DICE VINCK AI MAGISTRATI - ERA MOLTO PREOCCUPATO
IL RIMEDIO
VINCK PROPONE UN AUMENTO DI CAPITALE APPROVATO ANCHE DAL GRUPPO SVIZZERO CHE FA CAPO A MAX SCHMIDHEINY A PATTO CHE SEGUA PERSONALMENTE IL PIANO DI RILANCIO
1973
È L’ANNO IN CUI I BELGI SI DISIMPEGNANO E IL CONTROLLO PASSA AGLI SVIZZERI
LUIGI GIANNITRAPANI
SUBENTRA COME A.D. DI ETERNIT NEL 1975, QUANDO VINCK LASCIA
MAX GRAF
GRAF - RACCONTA GIANNITRAPANI - È IL FIDUCIARIO DEGLI SVIZZERI E MAX SCHMIDHEINY A METÀ ANNI ‘70 GLI PROPONE O SCETTRO MA LUI NON SE LA SENTE E SUGGERISCE DI AFFIDARE TALE RESPONSABILITÀ A STEPHAN SCHMIDHEINY