I ricordi di Lino Rizzo: «All'Eternit mettevamo l'amianto sfuso nelle cariole e lo buttavamo nelle tramogge»
di Massimiliano Francia
Lino Rizzo – classe 1946 - ora vive in Thailandia e fa il musicista, ma è originario di Verbania e ha vissuto a lungo Casale.
Ed è fra i tanti casalesi che sono finiti a lavorare all’Eternit.
Oggi segue il processo Eternit in corso a Torino tramite internet e leggendo le notizie e commenti su facebook e i suoi ricordi si sovrappongono a quelli di tanti altri testimoni.
Il Ronzone?
«Un quartiere che trasmetteva una sensazione di grigiore e con tanta polvere».
E gli amici persi a causa dell’amianto, «tanti che per lare l’elenco non basterebbero dieci pagine... Il “Baslilla”, il “Paulin”, l’Anna e tantissimi altri...».
I proprietari dell’Eternit?
«Sapevo che erano svizzeri...».
Dal 1976 al 1979
Rizzo ha lavorato all’Eternit dal 1974 al ‘79, faceva il manovale e scaricava le cariole l’amianto nelle tramogge.
Gli toccava anche la manutenzione dei filtri: «Si vuotavano i sacchi nelle carriole poi si andava sulle tramogge e si svuotavano ribaltandole» e la polvere era dappertutto, «non c’era un posto all’Eternit senza polvere».
Ma i lavoratori ponevano il problema della polverosità e della salute all’azienda?
«Da sempre si poneva il problema salute e si era formato anche un comitato».
E le risposte? «Vaghe o nessuna, ci prendevano per “rompiballe”».
Rizzo ricorda bene anche frate Bernardino Zanella, che lavorava all’Eternit: «Abbiamo lavorato insieme due anni in manutenzione...».
Ricorda anche l’indagine che Zanella fece per documentare la polverosità e la problematica della salute in fabbrica: «Aveva fatto un ottimo lavoro, era sempre in prima linea».
Nel rapporto tra le richieste c’era per esempio quella di «dotarsi di muletti elettrici per non fare più polvere del necessario».
Pericolosità e informazioni
Si parlava della pericolosità dell’amianto?
«Si cominciò a parlarne con Bernardino».
Eravate stati avvisati dall’azienda dei rischi che il contatto con l’amianto comportava per la salute?
«Mai, ce ne siamo accorti con i primi morti...».
Avevate posto il problema della polvere e dei rischi per la salute all’azienda? Che tipo di risposte avevate ottenuto?
«Abbiamo scioperato, ma era come un muro di gomma».
Anche Rizzo ricorda «da sempre» la regalia degli scarti di lavorazione: «So che tanti lo portavano a casa...».
Ricorda anche cumuli di polverino nel cortile in attesa che sparissero, non si sa bene per dove.
Niente sacchi di iuta, invece, nei suoi ricordi, solo carta oppure una «specie di nylon».
«Certe volte si rompevano, ma di rado».
E allora cosa si faceva? «Domanda da 100 milioni... Non si interveniva...».
Quando andava a lavorare qualche volta ci andava già con la tuta a volte si cambiava in azienda.
Polvere e... compressore
Tuta fornita dall’Eternit, ma non c’era nessun servizio interno di lavaggio per eliminare le polveri e prima di uscire ci si puliva «da incoscienti con il getto d’aria...».
L’unica forma di prevenzione era la mascherina di carta, ma «le davano con parsimonia e non erano obbligatorie».
Le pulizie nei reparti si facevavo a umido o a secco?
«A volte con un pietoso zampillo d’acqua».
Si usava la motoscopa oppure scopa e paletta?
«Tutte e due».
Il materiale che ne derivava che fine faceva? «Credo che finisse nell’immondizia...».
I reflui delle lavorazioni dell’Eternit invece finivano in Po dietro lo stabilimento in un posto «dove la domenica la gente andava a prendere il sole e a fare il bagno...».
Rizzo ricorda anche una frase ricorrente fra gli operai spesso arrabbiati per i tanti problemi che non trovavano soluzione: «Lonca a ian semnà chi cöiu, si faci d’merda...».
«Purtroppo - commenta oggi amaramente - hanno seminato morte...».
Nella foto Lino Rizzo con Paolo Conte