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Villadeati: la storia della stampa a palazzo Labar, antica dimora dei Rossi di Miroglio

Il settecentesco palazzotto, una volta dimora della Contessa Rossi di Miroglio, sul colle di Villadeati sovrastante il panorama monferrino sino all’Appennino Ligure, era parso all’artista Labar, non appena lo visitò, luogo ideale per l’installazione degli antichi torchi da stampa che costituiscono la sua collezione. Le ampie stanze della dimora si sono prestate, a partire dal 1993, a creare tre distinte sale tematiche per le tecniche originali da stampa: calcografia, xilografia, litografia da pietra”. Così scrive Giuliana Romano Bussola in un bell’articolo pubblicato sul periodico bimestrale “Charta” (Padova, settembre-ottobre 2006). E non c’era luogo più adatto dell’autorevole rivista, costantemente cresciuta per qualità e diffusione, che spazia sull’intero universo della carta: materia semplice, ma nobile che ci accompagna nella vita di tutti i giorni, conservando le testimonianze culturali e artistiche del passato in forma di libri, di giornali, di lettere e cartoline, di locandine e manifesti, oltre che, come nel nostro caso di incisioni e di stampe. “Pittore e scultore (al suo attivo mostre prestigiose in Italia, New York, Tokio, Vienna, Strasburgo, Ginevra) - si legge più avanti nell’articolo di Giuliana - l’artista non stabilisce gerarchie tra le differenti discipline riconoscendo alla grafica un piano paritetico non sostitutivo e ripristinando il binomio idea-mestiere. E mentre il piano superiore è adibito a esposizione di quadri a olio e sculture, il piano terra, esclusivamente dedicato alla grafica, offre un’atmosfera alchemica che recupera riutilizzazioni antiche riannodando le file spezzate tra passato e presente. Vi si presenta una straordinaria collezione di materiali e rari strumenti da lavoro di antiche botteghe, ma sono soprattutto i torchi, datati tra 1700 e 1800, gli elementi che destano meraviglia”. Ma se l’attenzione del visitatore è attratta dalle eleganti incisioni stampate personalmente dall’artista e che ricoprono le pareti delle stanze dominate dai torchi maestosi e robusti, altrettanto interessanti sono gli strumenti e i materiali quotidianamente utilizzati secondo un’antica tecnica e una tradizione secolare. “Ci appaiono rulli inchiostratori, tagliacarte, sgorbie, rotelle, bulini, berceaux, tutti carichi di fascino, se lasciamo andare il pensiero ai famosi incisori che avrebbero potuto averli fra le mani ma anche agli anonimi che li hanno forgiati. Rari esempi di artigianato, a volte piccole opere d’arte per l’originale fattura e la perfezione tecnica, gli attrezzi sono ordinatamente allineati su lunghi banconi in legno segnati dal tempo e dal lavoro, che sostengono anche grandi vasi contenenti gomma arabica, boccette di acido nitrico, soluzioni acquose, colori naturali pestati finemente in antichi mortai di marmo e pietra”. Ducento opere d’arte e un piccolo teatro Un comunicato di Castelli aperti con la new entry ‘‘palazzo Labar’’ ci porta nell’ultimo venerdì con sole a Villadeati. Statale di Torino, dopo Cerrina svolta a sinistra guidati in alto dalla torre circolare del castello Feltrinelli, stradina nel verde, San Remiglio anticipa il paese, via Roma sperando di non incontrare macchine in senso inverso e al numero 33 ecco un palazzo in mattoni, un portale antico da cui si affaccia armato di una lunga chiave Pietro Labarbiera (ma preferisce essere chiamato Labar) messinese, da tempo monferrino d’adozione. L’edificio -che l’artista definisce un “Museo vivente”- fu acquistato nel 1993 (Labar proveniva da Cesano Maderno). Vi sono esposte al pian terreno e al primo piano più di 200 opere, tra tele e sculture esposte nelle stanze. Ma più interessante è la visita al piano seminterrato, che si apre su un cortile panoramico sul Monferrato astigiano. Sono esposti i torchi da stampa: quello litografico Nebiolo di Torino, il tipografico Amos Dell’Orto di Milano del 1865, il calcografico settecentesco Karl Krause di Lipsia con ruota di legno, tutti perfettamente funzionanti e messi in azione da Labar durante le visite e gli incontri culturali, dove si tengono regolarmente concerti e conferenze d’arte. C’è anche una cordonatrice, un tagliacarte a ghigliottina, la pedalina e una serie di caratteri. Apprezziamo l’acquaforte di Villa Sucota di Como. Poi saliamo al primo piano per la visita. Concludiamo la visita -è una sorpresa- al teatro dotato di cinquanta posti a sedere con impianto multimediale per proiezioni digitali. In finale la sala sull’ecologia del mare, un’ancora anticipa la scultura “Non uccidete Moby Dick” circondata da tele raffiguranti i gabbiani. Le finestre rimandano alla parte vecchia di Villadeati con le prime torricelle della salita a villa Feltrinelli e la facciata della parrocchiale. Le vedremo meglio continuando nella strada fino al colle del Tribecco, uno dei luoghi più antichi del Monferrato.

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Silvio Morando

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