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«La criminalità nell'impresa», saggio di Rosalba Altopiedi sul caso Eternit

Un saggio agile, leggero, documentatissimo, scritto con un linguaggio preciso e accessibile, che riepiloga la tragica e criminale vicenda Eternit. Una grande messe di informazioni sulla fabbrica, le lotte sindacali, le testimonianze, il processo penale del 1993 (volutamente non si è trattato di quello attualmente in corso) riordinate e insieme - quindi - valorizzate. Una tappa obbligata - quella di ritracciare l’intera vicenda sia pur per sommi capi - per fornire a tutti i lettori, anche a quelli che si accostano per la prima volta alla grande strage causata dall’amianto dell’Eternit, gli elementi per comprendere perché il titolo del libro scritto da Rosalba Altopiedi metta insieme tre parole: impresa, criminalità e, appunto, Eternit. Un velo da squarciare Ricercatrice della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino, ispettrice del lavoro, nello staff di Raffaele Guariniello proprio per il processo Eternit attualmente in corso a Torino, Rosalba Altopiedi, ha pubblicato proprio in queste settimane (editrice «L’Harmattan», collana «Diritto, devianza, società») Un caso di criminalità d’impresa: l’Eternit di Casale Monferrato presentato mercoledì pomeriggio alla Camera del Lavoro di Casale alla presenza degli esponenti delle associazioni e del Comitato vertenza amianto. Un testo che vuole squarciare il velo su quello che ancora oggi - dice l’autrice - è un tabù culturale e sociale ben consolidato: il fatto che i comportamenti degli imprenditori possano essere - e in alcuni casi siano effettivamente - concretamente criminali. «Questa è vera criminalità, con tutte le componenti del crimine, la violenza, il modus operandi, le vittime...». Lo stereotipo del criminale Ma l’immaginario sociale fatica ugualmente a vedere nel comportamento di un imprenditore che viola leggi fiscali, ambientali, di sicurezza sui luoghi di lavoro causando inquinamento, vittime e incidenti «che si potevano evitare» (è questo il punto), e costano la vita a persone innocenti, un comportamento - appunto - criminale. Eppure i morti per gli incidenti sul lavoro in Italia sono molti di più, ogni anno, di quelli per omicidio, sottolinea l’autrice. «Questo per varie ragioni - spiega Rosalba Altopiedi nel suo libro - perché gli imprenditori non corrispondono agli stereotipi che abbiamo introiettato». Il pregiudizio negativo Il meccanismo opposto - insomma - alla diffidenza che si nutre verso lo straniero, un credito quasi illimitato che le persone facoltose, ben vestite, istruite, che si comportano con modi cortesi, appartengono alla buona società incassano non per merito ma, si potrebbe dire, per pregiudizio. Il pregiudizio positivo Un pregiudizio positivo così come è negativo il pregiudizio nei confronti di classi sociali disagiate che nell’immaginario collettivo sono comunque lo stereotipo del delinquente: l’immigrato clandestino, il drogato e - nei decenni scorsi - il «terrone». Ma molti immigrati sono invece persone di grandi doti e il sistema impresa, al contrario, presenta spesso condizioni che inducono in un certo senso alla violazione delle norme, una competizione che diventa perversa e che porta a comportamenti aggressivi, spregiudicati, a una logica economica che dimentica l’etica e il rispetto - spesso - non solo per le corrette regole del gioco ma persino per la vita. Il libro sottolinea - naturalmente - che non tutte le imprese accettano queste derive, non tutti gli imprenditori sono disposti a mettere a rischio la vita delle persone per fare utili. La decriminalizzazione La criminalità d’impresa è anche accompagnata da una attiva «decriminalizzazione» del proprio comportamento utilizzando vari strumenti, comprese varie forme di «collusione», specifica il testo richiamando uno studio specifico in merito, legata alla appartenenza e alla vicinanza degli imprenditori ai ceti elevati e a un potere che si esprime nel condizionamento dell’attività legislativa (la depenalizzazione del falso in bilancio, porta a titolo di esempio l’autrice) così come una contiguità sociale e culturale che porta anche in ambito giudiziario a un trattamento meno severo. Essere vittime e non saperlo In questo contesto - nella vicenda Eternit - è stato preziosissimo il ruolo giocato dalle associazioni delle vittime. Vittime che in una prima fase soffrono a loro volta quel condizionamento culturale (il pregiudizio positivo verso l’intera categoria degli imprenditori) e uno svantaggio sociale (non sono altrettanto influenti) ma che spesso dice l’autrice, non riescono neppure a considerarsi tali, proprio perché il comportamento di chi ha causato il danno non è classificato come criminale e quindi non è socialmente deprecato. L’associazione volto un ruolo importantissimo - ha quindi in prima battuta avuto il compito di far comprendere il proprio status di vittima a chi ha subito un danno e in seconda istanza di quello di avere costituito un soggetto sociale in grado di esercitare una pressione, di influire sull’opinione pubblica, di diventare un interlocutore dell’impresa criminale evidenziandone pubblicamente i comportamenti e chiedendo una assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Thyssen ed Eternit E i processi Thyssen ed Eternit che ruolo giocano? Nel libro questo aspetto non è affrontato ma l’autrice ritiene che al di là della condanna penale la vera svolta è l’acquisizione di consapevolezza da parte della società, la costituzione - come dire - di anticorpi abbastanza forti e tenaci da marginalizzare i comportamenti criminali, neutralizzandoli prima che producano il danno. «Questo permetterebbe uno scarto una cesura da punto di vista culturale rispetto a questo tipo di criminalità. «Mentre il sindaco di Terni (preoccupato per il timore di una chiusura dello stabilimento locale, ndr) ha commentato la sentenza Thyssen dicendo che rischia di aggiungere ingiustizia al dolore, dimostrandosi assolutamente omologato a un’altra cultura». Quella che le vittime combattono, quella che anche la magistratura ha contrastato con una sentenza - quella della Thyssen - che costituisce un precedente culturale, un momento di cesura netta rispetto a questo tipo di comportamenti che non potrà non avere conseguenze profonde. Sperando che tutto ciò consenta in un futuro non troppo remoto una società migliore dove si possono fare affari senza fare vittime. Almeno quando su può evitarlo.

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Stefania Lingua

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