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Enologia
Vite e cambio del clima: dipende dall’ambiente
Interviene Dora Marchi, direttore del laboratorio Enosis

Il cambiamento climatico, in ambito vitivinicolo, riguarda l’incremento generalizzato della temperatura ambiente, periodi molto lunghi con temperature elevate e con scarse precipitazioni prima dell’invaiatura e durante la maturazione dell’uva, l’incremento del contenuto in CO2 dell’atmosfera e della luminosità dovuto alla scarsa presenza di nuvole e, in genere, gli eventi meteorologici estremi.
«Numerosi studi sono stati effettuati per determinare l’influenza dei suddetti fattori sul metabolismo della vite» ha spiegato l’enologa e biologa Dora Marchi, direttore del Laboratorio Tecnico e Responsabile del Controllo Qualità nel Laboratorio di Ricerca Applicata Enosis Meraviglia di Donato Lanati, nell’ambito del XLVI Incontro Fitoiatrico svoltosi a Grinzane Cavour nelle scorse settimane.
«I risultati, tuttavia, sono in parte contraddittori e suggeriscono che gli effetti del cambiamento climatico debbano essere studiati e valutati nel contesto dei singoli ambienti. Uno dei risultati comuni a tutte le ricerche fino ad ora pubblicate riguarda l’anticipo della fioritura e, di conseguenza, della maturazione dell’uva, rispetto alla metà del secolo scorso o a tempi ancora più lontani. Questo, implica che anche il clima primaverile riveste un ruolo importante sul periodo in cui avviene l’invaiatura, sul corso della maturazione e, di conseguenza, sulla composizione dell’uva alla raccolta. Uno dei problemi più rilevanti è il sensibile incremento del contenuto in zuccheri dell’uva alla raccolta».
Generalmente, «questo fenomeno è accompagnato da una diminuzione dell’acido malico e, sebbene non necessariamente, da una diminuzione dell’acidità titolabile e da un incremento del pH del mosto estraibile dall’uva. In alcuni casi, invece, la mancata diminuzione dell’acidità titolabile e il mancato incremento del pH, pur con il consumo dell’acido malico e con la liberazione dei cationi che lo salificavano, possono essere dovuti sia allo scarso consumo metabolico dell’acido tartarico, sia allo scarso assorbimento di potassio e di cationi bivalenti dal terreno, in condizioni di carenza idrica. Tutto questo comporta che i danni che la vite e l’uva possono subire, in seguito a lunghi periodi caratterizzati da temperature elevate, vadano valutati tenendo conto anche delle condizioni idriche del terreno. È evidente che per i vini ottenuti da uve che hanno subito questo tipo di stress sia necessario elaborare tecniche nuove di vinificazioni e affinamento, al momento non disponibili. Generalmente, a lunghi periodi con temperature elevate corrisponde un basso contenuto in antociani nelle uve colorate. Questo fenomeno può essere dovuto sia a inibizione della sintesi sia a degradazione di questi composti. L’espressione di alcuni geni della via biosintetica dei flavonoidi, infatti, è inibita dalle alte temperature; se l’evento dura per un lungo periodo, le reazioni di degradazione delle singole classi di flavonoidi possono superare quelle di sintesi».
In conclusione, esiste ampio spazio per ricerche aventi come obiettivo la limitazione dei danni apportati da questi eventi alla composizione dell’uva e alla qualità dei vini.
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