(r.c.) - A Camino, nel Monferrato, vive l’artista torinese Enrico Colombotto Rosso, nato (con il fratello gemello Edoardo) il 7 dicembre 1925.
Nel 1948 incontra Mario Tazzoli con il quale aprirà a Torino la galleria Galatea che tratterà artisti come Giacometti, Bacon e Balthus.
Enrico Colombotto Rosso espone, nel 1949, alla Mostra Nazionale d'arte della Società Promotrice di Belle Arti di Torino.
L'idée fixe che caratterizzerà la sua pittura è anticipata dalla "Piccola storia per un bambino che aveva grandi orecchi e piccole zampe", pubblicato con il titolo di "Storie di Maghe per adulti".
Negli anni cinquanta, Enrico Colombotto Rosso ha vissuto a Parigi in contatto con Léonor Fini ed altri artisti, tra i quali Constantin Jelenski, Max Ernst e Dorothea Tanning.
Enrico Colombotto Rosso è un grande collezionista, raffinato e sensibile: tra le opere da lui radunate nella sua magica casa quelle di Hans Bellmer, Max Ernst e Stanislao Lepri. Enrico Colombotto Rosso, a partire dagli anni cinquanta, ha esposto nelle più importanti gallerie europee e americane. Si è cimentato anche nel cinema e nel teatro disegnando scene e costumi, ad esempio nel 1970 per l’opera teatrale Le jeu du massacre di Eugène Ionesco per il Teatro Stabile di Torino e per la Danza di morte di Johan August Strindberg. Ha donato a comuni monferrini, Camino, Pontestura e Villanova, preziosi nuclei delle sue opere e collezioni. A Conzano ha lasciato 103 opere per creare un museo personale.
ENRICO COLOMBOTTO ROSSO PARLA DEL SUO GIARDINO
«Cela est bien dit, répondit Candide, mais il faut cultiver notre jardin».
È ben detto, rispose Candido, ma bisogna coltivare il nostro giardino.
(Voltaire, «Candido o l’ottimismo»)
-Sono arrivato nella casa di Camino quarantaquattro anni fa. In questo posto, per dirla con Baudelaire, « j’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans». Quarantaquattro anni fa non c’era niente, ho fatto tutto io. Anche il giardino non c’era. Qua e là ho piantato qualche pianta. Ieri ho messo una magnolia.
A Camino ho due giardini: quello davanti all’ingresso della casa è grande e vi ho piantato alberi da frutto come meli, prugni e fichi, soprattutto cachi che caratterizzano questa zona del Piemonte.
Il mio grande amore sono i fiori, in particolare le rose. Nel giardino interno ho piantato la «Queen Elizabeth»: quelle bianche e quelle rosse. Quelle bianche perché mi ricordano mia madre che si chiamava Bianca: «je ne suis pas la rose, mais j’ai vécu avec elle».
Il giardino interno richiama un passo di Gabriele D’Annunzio, «Hortus Conclusus dal Poema paradisiaco».
«Giardini chiusi, appena intraveduti, / o contemplati a lungo pe’ cancelli / che mai nessuna mano al viandante / smarrito aprì come in un sogno. Muti / giardini, cimiteri senza avelli, / ove erra forse qualche spirto amante / dietro l’ombre de’suoi beni perduti!»
Nel mio giardino ci sono delle lapidi. Una per il mio gatto siamese Lilli, che ha vissuto con me venti anni. L’altra per un amico. Le lapidi sono per me il simbolo di una persona che ho amato. Non ho un’idea necrofila della vita, metterei le tombe di tutte le persone a me care nel giardino: mia madre, mio padre, per ricordarle, non per fare delle esequie. Chi non ricorda il bene passato è vecchio già oggi e il ricordo delle persone che abbiamo amato è l’unico giardino del paradiso dal quale non possiamo venir cacciati. Del mio giardino amo le rose e quei ricordi. Questo fa parte di una mentalità forse perduta.
Nei miei quadri ho dipinto una calla. Amo la calla con la sua infiorescenza a spiga racchiusa in una brattea bianca a calice.
Dei giardini amo quelli incolti. In Piemonte si chiama “il giardino del curato”, quello in disordine. Sei colpito dall’atmosfera di quei giardini, molto decadente. Quelli che tolgono l’erba continuamente mi annoiano. Io bagno le mie rose alle cinque del mattino - devo alzarmi presto altrimenti manca l’acqua in questa zona di collina - e poto le rose in estate e in autunno. Tutto qui.
I fiori e i giardini sono per me importantissimi. A Parigi inondavo di fiori la mia amica Léonor Fini. Nella sua casa di Nonza in Corsica, insieme a Max Ernst e Dorothea Tanning, Léonor ed io passavamo molto tempo con i fiori: addobbavamo con i fiori i sentieri che portavano al vecchio convento diroccato di Nonza. Di notte c’erano solo fiori e candele; era bello vedere il vecchio convento-casa di Léonor con lo scalone di pietra che andava sul mare illuminato dalle candele e dai fiori bianchi e da quelli di campo.
(Testimonianza raccolta da Roberto Coaloa)
FOTO. "Calla" di Enrico Colombotto Ross. Olio su tela 100x65cm Museo d'arte moderna Aosta.
Roberto Coaloa ed Enrico Colombotto Rosso nel giardino di Camino,
marzo 2008. (Foto di Daniela Berruti)