Asbestosi: rischio moltiplicato x 2000. A Casale per il mesotelioma pleurico possibilità di ammalarsi fino a 40 volte superiore
di Massimiliano Francia
Non solo è vero che l’esposizione incide in modo direttamente proporzionale sul rischio e sulla frequenza delle malattie provocate dall’amianto, ma - al contrario - è scientificamente provato che quando cessa l’esposizione l’organismo degrada l’amianto in una percentuale variabile, secondo gli studi, del 6-15% ogni dieci anni.
E con questa eliminazione del cancerogeno dall’organismo diminuisce anche il rischio di contrarre le malattie.
È una delle tesi che gli epidemiologici della pubblica accusa hanno portato in aula oggi lunedì, alla 31ª udienza del Processo Eternit di Torino, che vede imputato lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga De Cartier per omissione dolosa delle norme antinfortunistiche e disastro doloso permanente.
Una affermazione importante per dimostrare che le vittime non sono frutto del caso o della malasorte, ma sono imputabili a un inquinamento, vasto, grave, diffuso e prolungato nel tempo.
Non solo, ma con ciò si afferma anche che è stata proprio la continuità dell’esposizione a causare così tanti morti.
Le percentuali di rischio
Le percentuali di rischio per gli ex lavoratori, calcolate con uno studio che dura ormai da oltre 25 anni, sono a dir poco folli se paragonate alla media della popolazione piemontese: fino a 2000 volte per quanto riguarda l’asbestosi, fino a 40 volte per quanto riguarda il tumore della pleura e a 200 per quello del peritoneo; anche 5 volte in più per il cancro al polmone.
Percentuali che sgomentano soprattutto se si tiene conto del fatto che – ha evidenziato Corrado Magnani, professore associato di statistica medica all’Università Avogadro di Novara, dal 1978 epidemiologo dei tumori – sono calcolate in relazione ai dati medi della popolazione del Piemonte, già (ahimè!) «gonfiati» proprio dalla presenza dei casi rappresentati dai lavoratori.
Un triste primato ribadito anche da un secondo studioso, Dario Mirabelli, che ha proiettato in aula una inquietante cartina del «Bel Paese» con la segnalazione delle località e delle zone più colpite dal mesotelioma: «Il record – ha detto – si registra a Casale».
Ricerche prudenti
Conclusioni a cui i periti sono giunti basandosi su ricerche svolte con cura e prudenza, escludendo tutti i casi considerati dubbi, per evitare di drammatizzare un quadro già di per sé terribile.
Corrado Magnani la propria indagine sui lavoratori l’ha iniziata a metà anni Ottanta.
Un cosiddetto «studio di coorte», condotto cioè «su un gruppo di persone accomunate da una comune esposizione e seguite nel tempo per vedere come compare ed evolve la malattia».
Un esame condotto sul più grande gruppo del mondo per studi in questo settore – ha sottolineato Magnani – ben 3.434 persone. Oggi il 70% degli uomini e il 64% delle donne sono decedute.
Uno studio che dura inoltre da un periodo molto lungo, anche dopo la cessazione dell’esposizione professionale, «cosa che consente di fare analisi che altri studi non hanno potuto effettuare».
630 morti in più
I risultati sono terribili: in tutto si contano – fra gli ex lavoratori Eternit per il periodo 1965–2008 – 630 deceduti in più (oltre 450 fra gli uomini e 150 circa fra le donne) di quanti avrebbero dovuto essercene in una popolazione se non avessero respirato tutto quell’amianto.
«La coorte dei dipendenti dello stabilimento Eternit ha presentato un fortissimo eccesso di morti dovute a malattie direttamente legate all’esposizione ad amianto», ha affermato il perito. «Dal 1965 al 2008 si sono verificati 284 decessi per asbestosi (con meno di 1 caso atteso), 177 per tumori maligni della pleura (con meno di 5 casi attesi), 69 per tumori maligni del peritoneo (con meno di 3 casi attesi), 286 per tumori polmonari (con circa 128 casi attesi)».
Un dato ancora più inquietante se si considera che normalmente negli studi sulle aziende le patologie risultano inferiori a un campione medio, perché nelle realtà produttive si selezionano persone giovani e in buona salute.
«A Casale si osserva un 30% di morti in più dell’atteso, malgrado abbiamo evidenze che un processo di selezione fosse in atto anche in questo stabilimento», ha sottolineato Magnani.
Il rischio mesotelioma incide 20 volte in più per chi ha lavorato meno di 20 anni, 40 volte in più per chi è stato all’Eternit per più tempo.
I timori in Emilia
La situazione dell’Emilia (a Rubiera c’era uno stabilimento Eternit) è stata illustrata da Ferdinando Luberto, medico del Servizio epidemiologia dell’ASL di Reggio Emilia che si occupa proprio della situazione degli ex lavoratori del settore cemento-amianto.
Pochi i casi registrati finora (7 - per esempio - tra i residenti nei pressi dello stabilimento), ma trattandosi di lavoratori giovani che hanno operato tra il 1980 e il 1991 si teme un incremento nei prossimi anni.
La strage continua
Il persistere della strage causata dall’amianto ancora oggi secondo Francesco Barone Adesi, giovane studioso romano che lavora attualmente negli Stati Uniti (al National Cancer Institute) si spiega anche e proprio con il persistere dell’esposizione, perché secondo gli studi «contano anche le esposizioni più recenti».
In pratica il rischio di contrarre la malattia è funzione di una dose di cancerogeno (l’amianto nel nostro caso) che si accumula via via nel tempo, ma quando l’esposizione cessa dopo un certo numero di anni (una ventina) il rischio si stabilizza perché il nostro organismo è in grado di neutralizzare gradualmente le fibre.
La teoria della cosiddetta «trigger dose» - ha detto lo studioso italiano - non ha fondamento scientifico e a quanto si sente solo nelle aule dei tribunali.
Una teoria che vorrebbe ricondurre tutto alla prima esposizione, a cui si deve l’effettivo rischio, mentre le esposizioni successive sarebbero irrilevanti. E che punta soprattutto sulla lunga latenza delle patologie correlate all’amianto.
Una tesi che farebbe comodo soprattutto all’imputato svizzero che potrebbe così attribuire l’intera responsabilità a chi l’ha preceduto alla guida dell’Eternit.
Ma proprio per quanto riguarda Eternit è stato esservato che «diverse esposizioni provocano tassi di rischio diversi», ha detto Barone Adesi.
E per i cittadini?
E per la popolazione non esposta professionalmente? Chi all’Eternit non ha mai lavorato?
L’enorme incidenza del mesotelioma sollevò negli studiosi grandi dubbi in quanto non bastavano le vittime professionali a spiegare tutti quei morti, ha ancora spiegato Magnani.
«Il numero complessivo dei casi era oltre tre volte quello osservato fra i dipendenti dell’azienda».
E nemmeno i decessi che si erano registrati sulle mogli dei lavoratori, su cui si puntò subito l’attenzione e si sviluppoò la prima ricerca che confermò - appunto - che anche loro morivano per l’amianto.
L’alto numero di vittime femminili era ugualmente un dato anomalo, che attirò l’attenzione degli studiosi.
Anche qui i dati sono allarmanti: a Casale il tasso di incidenza (numero di casi osservati per 100mila abitanti) era di 8 per 100mila per gli uomini e di 5 per le donne, contro a 1 caso atteso per gli uomini e a 0,5 per le donne.
Così si lavorò sul criterio della distanza dagli stabilimenti: nei Comuni confinanti con Casale il tasso è stato ricostruito è di circa la metà mentre negli altri che fanno parte dell’ex ASL 76 di circa un decimo.
«Il nodo - ha spiegato lo studioso - è la vicinanza dello stabilimento alla città».
Dati confermati dall’esame svolto da Dario Mirabelli, epidemiologo dei tumori al San Giovanni Battista di Torino, che si occupa proprio del registro mesoteliomi: «La Procura mi ha chiesto di analizzare i profili di esposizione individuali dei soggetti ammalati di mesotelioma, che non fossero ex lavoratori».
L’esame ha riguardato i casi tra il 1980 e il 2004. Su 428 casi (a cui se ne sono aggiunti altri in seguito per un totale di 484) 335 erano non lavoratori di Eternit: «Una cittadina di 40mila abitanti in 25 anni di osservazione avrebbe dovuto avere una ventina di casi invece di 335. A Casale negli uomini il mesotelioma è il secondo tumore più frequente dopo quello del polmone».
E ricostruendo una per una le storie è emerso che a Casale il 55% dei casi è rappresentato da persone che hanno avuto una esposizione esclusivamente ambientale. La media nazionale è dell’8%.
E poi? I cittadini non lavoratori si ammalano prima, probabilmente «perché vengono esposti in età più precoce ».
Già, spesso sull’amianto ci giocavano senza saperlo nel cortile di casa, o all’oratorio...