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Il racconto di Marcella Buzzi: "Lo studio ai tempi del coronavirus”

Dalla quinta ginnasio il racconto di una giornata di studio che, precisa l'autrice di questo racconto, non è autobiografico

Dalla VA Ginnasio dell'Istituto Balbo, riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Marcella Buzzi, studentessa, che ben descrive la vita degli studenti ai tempi del Coronavirus. L'autrice specifica che "che la protagonista della storia è frutto della mia immaginazione e non sono io".

 

Ore 8:45.

Sento la sveglia che sta suonando e capisco che è arrivato il momento di alzarsi, anche se preferirei rimanere al sicuro tra le mie calde lenzuola ancora per un po’. Sono passate circa due settimane da quando mi hanno mandato i risultati del tampone. 14 giorni. 336 ore. 20160 minuti. So che non è una cosa tanto normale, ma quando sono triste fare calcoli del genere è praticamente l’unico modo che conosco per rilassarmi e pensare ad altro. Perché sono triste? Beh, la risposta è molto semplice: questo fantomatico tampone è risultato positivo e da quel momento sono in isolamento domestico. Per fortuna non presento sintomi perché non ho sviluppato la malattia, ma c’è comunque il rischio che possa contagiare la mia famiglia. Per questo motivo non mi è permesso uscire dalla mia stanza né vedere i miei genitori. Adesso vorrei solo andare a prendere una boccata d’aria in giardino, e invece sono costretta a stare chiusa qui e mi tocca pure seguire le videolezioni. Tra l’altro oggi in programma abbiamo storia, matematica e italiano, che al momento mi appaiono ben più spaventosi del coronavirus.

Eppure devo ammettere che anche studiare online comporta i suoi vantaggi: ad esempio, non devo camminare mezz’ora tutte le mattine per arrivare a scuola, e se mi sveglio tardi nessun professore o compagno può vedere la situazione post apocalittica dei miei capelli, che come sempre non ho avuto voglia di sistemare. Inoltre, su internet la consegna dei compiti è semplice ed immediata e posso usare queste settimane a casa per ripassare gli argomenti che non ricordo. Il vero problema sono le videolezioni, perché è impossibile non distrarsi. Appena un insegnante qualsiasi inizia a parlare, ogni oggetto all’interno della mia camera diventa più interessante delle sue parole: dalla lampada sul comodino, alle cuffiette abbandonate sul letto, a quel libro sui cavalli che non ricordavo nemmeno di avere e di cui per ora preferisco limitarmi ad osservare la copertina. Sembra che si mettano tutti d’accordo per portare il mio sguardo lontano dal computer e non farmi seguire la lezione. Anche oggi la musica non cambia: cerco di assimilare alcuni concetti fondamentali, ma a fine mattinata nella mia mente c’è una tale confusione che si creano immagini del tutto nuove: per qualche strano motivo due Longobardi hanno deciso di cominciare a rappresentare graficamente funzioni lineari (tutto questo mentre minacciano di vendicarsi delle angherie subite da un certo signorotto spagnolo, noto come Don Rodrigo).

Ad un certo punto sento bussare alla porta. Deve essere mia madre che mi lascia sull’uscio uno dei suoi soliti manicaretti. Mangio in fretta e ripongo delicatamente il vassoio fuori dalla porta. Prima di rimettermi a studiare decido di fare una videochiamata con le mie migliori amiche. Mi sembra di non vederle da un’eternità e parlare con loro mi fa sempre riacquistare il buonumore. Ci raccontiamo pettegolezzi, scherziamo insieme e discutiamo di scuola, parliamo di quanto sia cambiata la nostra vita in queste ultime settimane. Ricordiamo con amarezza i momenti in cui ci preoccupavamo solo di problemi superficiali, e non certo di una pandemia in corso. Quando mi accorgo che siamo in chiamata da quasi due ore saluto le mie amiche e torno a studiare.

Più passano i giorni, più diventa difficile rimanere al passo con il programma. Mi sembra di correre su un tapis roulant che aumenta a poco a poco la sua velocità e non riesco a star dietro a tutte le materie. Autogestirsi è molto più complesso di quanto immaginassi. Inoltre devo stare molto attenta a rispettare le scadenze, e in questo il computer non mi aiuta, dato che nel momento del bisogno è sempre pronto a tormentarmi con mille problemi tecnologici di vario genere. Mi chiedo se li inventi a tavolino solo per non consentirmi di consegnare i compiti in tempo... Trascorro il pomeriggio a studiare, o meglio, a provarci senza grandi risultati. Non riesco a concentrami, e cerco di scacciare la noia in qualsiasi modo: canticchio le mie canzoni preferite, scarabocchio su libri e quaderni e fisso insistentemente il vecchio orologio appeso alla parete, sperando che in qualche modo le ore passino più velocemente. Dovrei smetterla di cercare conforto in oggetti inanimati, ma credo sia inevitabile quando non si ha nessuno con cui parlare.

Ormai è sera, ed ecco che arriva il vassoio della cena, puntuale come sempre. Per oggi basta con lo studio, non ne posso più. Vorrei andare a dormire ma so che se mi mettessi a letto inizierei a riflettere su tutte le cose che mi mancano. Sono giorni che non vedo la mia famiglia ed i miei amici. Non ho alcuna valvola di sfogo e l’unico contatto con il mondo esterno è quel logoro vassoio in legno di faggio che ora giace fuori dalla porta. Mi manca svegliarmi tardi al mattino e sapere che dovrò prepararmi in fretta e furia per arrivare in tempo in classe. Mi mancano le risate della mia compagna di banco, la merenda comprata alle macchinette, la paura di un’interrogazione e persino i rimproveri dei professori. Durante le lezioni online invece tutto tace: nessuno chiacchiera a bassa voce o sgranocchia cibo di nascosto. Non si sentono i soliti rumori gracchianti provenire dalle vecchie sedie. Chissà cosa ne pensano gli insegnanti di questo silenzio tombale, che in passato hanno tanto desiderato... Mi sento un po’ come Gregor Samsa, imprigionata in un involucro che non può contenermi. Se solo potessi, tornerei dalla me stessa del passato e le urlerei con le lacrime agli occhi di godersi quelle giornate solo all’apparenza monotone, che adesso rimpiango così ardentemente.

Ho bisogno di distrarmi, quindi decido di prendere un bel libro. Opto per “La guardia bianca” di Michail Bulgakov. Mi ero ripromessa di leggerlo non appena avessi avuto tempo, e credo sia arrivato il momento giusto. Pagina dopo pagina, le mille paranoie dentro la mia testa si dissolvono in una nube di calma.

Una frase mi colpisce particolarmente: “Tutto passa: le sofferenze, i tormenti, il sangue, la fame, la pestilenza. Solo le stelle rimarranno allo stesso modo, immutabili”.

Così, mentre cado tra le braccia di Morfeo, immagino il momento in cui anch’io, un po’ come Dante Alighieri una volta fuori dagli inferi, potrò finalmente “uscire a riveder le stelle”.


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