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Sabato 24 novembre la Giornata Mondiale
La storia di una donna monferrina di 73 anni, da quattro ammalata di Parkinson
«Ho imparato a reagire trovando nuove motivazioni»
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Sabato 24 novembre è la Giornata Mondiale del Parkinson. Dalle ore 10 alle 12, la Medicina Riabilitativa e la Neurologia del Santo Spirito organizzano, nella palestra dell’ambulatorio di Medicina Riabilitativa un incontro informativo sul morbo di Parkinson proprio con la finalità di presentare il nuovo ambulatorio neurologico dell’ospedale.
Prenderanno parte all’incontro Gilda Di Brigida, neurologa che si occuperà dell’ambulatorio (‘L’ambulatorio Parkinson a Casale’); Livia Colla, fisiatra (‘Le opportunità riabilitativa nel territorio casalese per le persone malate di Parkinson’); Lucia Marcantonio, fisiatra (‘Il trattamento riabilitativo nella malattia di parkinson’); Silvana Ravetti, CPSE RRF e Rosanna Morano, fisioterapista (‘Le proposte fisioterapiche e l’attività motoria di gruppo’); Annalisa Botto, logopedista (‘I disturbi della deglutizione e del linguaggio’); Antonella Lancella, otorinolaringoiatra (‘La valutazione della disfagia’); Gabriella Caprino, dietologa (‘La valutazione nutrizionale e la terapia dietetica’). L’appuntamento è in collaborazione con l’Associazione Parkinson di Alessandria ‘Gli amici di Lucia’.
E in occasione di questa ricorrenza abbiamo anche intervistato una paziente malata di Parkinson. Una donna, M. 73 anni, da quattro ammalata, ex insegnante residente nella prima cintura casalese.
Si racconta con il sorriso sulle labbra, non quello ostentato, figlio illegittimo di una mal celata ricerca di un’irraggiungibile dignità, ma quello di una donna che, della malattia, ne ha presa coscienza, facendone un’occasione per ridisegnare la propria vita, anziché motivo di chiusura, sconfitta e isolamento.
Come per tutti i malati di Parkinson, la malattia neurodegenerativa causata dalla progressiva morte delle cellule nervose, che oggi colpisce circa il 3 per mille della popolazione mondiale, contando circa 300 mila casi in Italia in età compresa tra i 59 e i 62 anni, anche lei ha iniziato a percepirne la presenza attraverso i primi tremori, la stanchezza e la lentezza dei movimenti.
Da lì i primi esami e, velocemente, la conferma: il Parkinson.
Ad un primo e breve momento di smarrimento, per lei è subito seguita la presa di coscienza della sua nuova patologia, ovvero condizione fisica e prospettiva psicologica, per sé e i suoi famigliari: «Mi sono disegnata uno specchietto dove al centro ho indicato MdP (Malattia di Parkinson) e tutt’intorno le freccette con ciò che avrebbe comportato e quali sarebbero stati i nuovi comportamenti che avrei dovuto adottare. Tutto sommato poteva andarmi peggio» si disse pensando al male del polverino tanto diffuso nel casalese.
Gli stadi psicologici sono stati diversi, sia per lei sia per i suoi famigliari, vissuti, dapprima nella paura di un’evoluzione, di cui non se ne conoscevano esattamente gli avanzamenti nel tempo, e poi, nell’inconsapevolezza di ciò che sarebbe stato il quotidiano. Poco per volta, anche grazie al lento progredire del Parkinson, lei ha iniziato a conviverci e, tra un timore e l’altro, anche la sua famiglia: «Alla consueta domanda come stai?, ho imparato a rispondere distinguendo la mia condizione generale dalla malattia. La risposta non poteva essere univoca. Giorno dopo giorno ho capito che dovevo sì, curare il Parkinson, ma anche prendermi cura di me, accettandomi, riscoprendomi e valorizzandomi. Oltre alle terapie tradizionali, ho così intrapreso pratiche che mi danno beneficio, come la camminata nordica, il Taichi (arte marziale evoluta) e l’arte-terapia. Ho riscoperto passioni sopite, riprendendo a dipingere icone, disegnare fumetti e immagini stilizzate e a scrivere».
C’è tuttavia stato qualcos’altro che ha contribuito a darle rinnovata forza e accettazione: «È la fede che aiuta me e mio marito a riconsiderare la vita con altri occhi e sentimenti. Con la fede nel cuore abbiamo compreso che la malattia ha tolto e, allo stesso tempo, ha donato».
«Riflettere sulla malattia - ci aggiunge il marito - vuol dire riflettere anche sulla vita e su quelle che sono le cose veramente importanti».
Anche per lui l’inaspettata diagnosi è stata, inizialmente, uno choc: cambiamento dello stile di vita, limitazioni e privazioni delle autonomie, preoccupazioni nell’affrontare l’evoluzione della malattia stessa e impreparazione: «C’è la necessità di avere una struttura organizzata al sostegno dei malati e dei famigliari per accompagnarli nel corso dell’evoluzione della malattia, sia a livello informativo, sia pratico e psicologico. La consapevolezza aiuta a vivere meglio ogni condizione. In questo modo si possono superare gli iniziali stadi di vergogna, rabbia, impreparazione e conseguente isolamento a cui spesso si va incontro».
A tre anni di Parkinson ciò che più spaventa è la compassione della gente: «Fa molto male» ci dice.
«La malattia è una condizione diversa e, spesso, limitante, ma non è l’esaurirsi della vita. Nella nuova condizione vanno ricercate diverse occasioni e motivazioni. Va ridisegnata la vita stessa per riscoprire nuovi sentimenti e rinnovate sensibilità».
Quella di M. è una storia nella storia, che vuole anche essere un messaggio positivo. Del Parkinson, M. intenderà farne occasione di esperienza e utilità al servizio di altri malati, sostenendo e rispondendo in maniera organizzata ai bisogni emergenti del casalese.
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