«Buttavo due motocarri di eternit ogni settimana nel Po». La testimonianza del casalese Enrico Bagna al processo amianto di Torino
di Massimiliano Francia
Ha smaltito gli scarti di lavorazione dell’Eternit a partire dal 1972 e fino al 1983 gettandoli direttamente sul greto del Po, nei pressi del ponte stradale. E poi fino alla chiusura degli stabilimenti conferendoli nella discarica «Cascinetta». Proprio la parola «smaltito» - utilizzata dal casalese Enrico Bagna sentito oggi, lunedì nell’ambito del processo amianto - è stata oggetto di una puntuale osservazione da parte del presidente del tribunale Giuseppe Casalbore: «Lei li trasportava soltanto e poi li scaricava. Finivano di fatto nel Po. Questo lei lo chiama smaltire? Non le si è acceso un campanello di allarme quando ha visto il decreto legge del 1983? Non si è chiesto perché la legge prevedeva particolari accorgimenti? Non ha mai avuto nessun dubbio?»
«Se lo avessi avuto non rischiavo la mia salute in prima persona? La pala la manovravo io...», ha risposto Bagna.
Un contratto del quale non si ha traccia, che Bagna ha detto di avere stipulato a Genova e nel quale era stato stabilito un forfait di 250-270 mila lire al mese, inizialmente, poi un tanto a viaggio: 10-12mila lire.
Due volte la settimana andava allo stabilimento a prendere gli scarti con un motocarro. Materiale che si trovava dentro a dei container aperti (5 metri di lunghezza per 2,40, alti un metro e mezzo) o che si trasferiva nel mezzo con una benna.
Poi con il motocarro scoperto (non c’erano diverse indicazioni in merito, ha detto) che Bagna di solito guidava personalmente percorreva via XX settembre, piazza Castello, il ponte sul Po e raggiungeva il greto del Po in argine dove aveva la sua attività che principalmente – ha detto – era di recupero di materiali ferrosi che venivano poi rivenduti alle acciaierie.
Proprio a fianco, lungo la sponda del Po, «ribaltavo il cassone e scaricavo e - quando si formava un cumulo - li spianavo con una pala meccanica».
La pala del Comune
E proprio su tale punto sia la difesa di Schmidheiny sia lo stesso presidente Casalbore hanno annotato una incongruenza rispetto alle dichiarazioni rilasciate a marzo 2009 ai magistrati quando aveva detto che era un bulldozer del Comune a effettuare tale lavoro.
«Se l’ho detto è perché mi sono confuso o non avevo capito bene la domanda... Spianavo io con una pala meccanica».
«Ma il Comune mandava una pala ogni tanto per altre ragioni?», ha chiesto il presidente.
«No», ha risposto il teste.
«E allora come fa a sbagliarsi?».
Una incongruenza che ha indotto l’avvocato Astolfo Di Amato a chiedere l’acquisizione agli atti del verbale delle deposizioni rilasciate in prima battuta da Bagna.
Riguardo ai trasporti Bagna ha anche affermato che Eternit non ha mai chiesto di coprire con dei teloni i mezzi di trasporto, ribadendo che mai nessuno lo aveva avvisato che si trattasse di materiale pericoloso.
«Eppure nei verbali della commissione ambientale del consiglio di fabbrica del 1977: “Non si sa che fine abbia fatto la disposizione alla ditta Bagna di teli l’applicazione di copertura dei cassoni”», ha detto il pubblico ministero Sara Panelli.
«Escludo di avere avuto prescrizione se no lo avrei fatto, coprire un cassone non è un lavoro impegnativo...».
E neppure - è emerso dalla sua deposizione rispondendo a una domanda dell’avvocato Sergio Bonetto, rappresentante di parti lese - è stato mai bagnato il materiale sia per il trasporto sia all’atto in cui lo si spianava sul greto del fiume.
E anche all’avvocato Carlo Alleva, difensore di Stephan Schmidheiny, che gli ha chiesto se avesse «mai visto il manuale di sicurezza di Eternit», Bagna ha risposto senza esitazioni: «Mai, non so neanche se esistesse...».
La «cuccagna» fino al 1983
Prima di Bagna per Eternit operava un’altra ditta e anche quella, ha detto il teste in aula, scaricava tutto a Po, nelle immediate vicinanze dello stabilimento.
La «cuccagna» di buttare tutto quanto sulle rive del fiume praticamente a costo zero prosegue fino al 1983, poi una nuova normativa di legge classifica i rifiuti e richiede la realizzazione di un impianto di smaltimento vero e proprio che fu autorizzato ad aprire in zona industriale, la discarica «Cascinetta».
Il sito sul greto del fiume
Il sito sul greto era accessibile a tutti perché Bagna aveva solo l’autorizzazione a conferire i rottami per colmare gli avvallamenti: «Non escludo che qualcuno prendesse del materiale».
Quanto al polverino era un fatto noto a tutti che «veniva impiegato per pavimentare i cortili. Era un uso comune. Probabilmente andavano in stabilimento a prenderlo. Però non ho mai visto nessuno che caricava il polverino».
Bagna dunque ritirava gli sfridi della tornitura. Ma vendeva la polvere? «No, io ero pagato per ritirare il materiale».
Ma in un verbale di Eternit di una riunione tecnica del 1979 - ha sottineato il pm - si parlava di «“diffidare la ditta Bagna dal vendere la polvere ritirata dal silo del reparto torni”». E accanto, a mano, era stato annotato: «Abbiamo diffidato... attendiamo assicurazione».
«Non ho mai ricevuto nessuna diffida. Neanche verbalmente. E non ho mai venduto polverino in vita mia», ha replicato Bagna.
«Però così non si spiega questa annotazione…», ha chiosato il magistrato.
Il «suo» polverino del resto - ha aggiunto Bagna - non era adatto a essere ceduto perché era scarto mescolato con altri materiali, come carta e iuta.
Purtroppo accettai
Lavorava solo per Eternit o anche per altri?, ha chiesto ancora il pm.
«Svolgevo recupero e smaltimento materiali ferrosi. Eternit era una minima parte. Solo con Eternit non avrei potuto vivere. Poi purtroppo nel 1972 accettai di lavorare per Eternit».
Perché purtroppo?
«Ho un enfisema polmonare respiro con un solo polmone, non so se dipenda da Eternit però…».
Ma Eternit era a conoscenza che il materiale veniva scaricato lungo il Po? E si è preoccupata di trovare con lei una zona diversa dal greto del Po, ha chiesto il pm Raffaele Guariniello. Lo sapeva, ma non ha mai posto il problema di cercare un altro sito.