Articolo »

Sabato scorso

Lo storico Eric Gobetti a Camagna

L'incontri prima della “Pastasciutta Antifascista”

Funziona ancora, ai giorni nostri, il leitmotiv degli “Italiani brava gente”, diffusosi dal secondo dopoguerra per definire una maggiore “mitezza” e “affabilità” nostrana rispetto ad altri popoli? Se lo è chiesto lo storico Eric Gobetti che, reduce dal clamore mediatico di “E allora le foibe?”, è tornato in libreria con il nuovo “I carnefici del Duce”, edito da Laterza.

A condurre l’autore e l’opera a Camagna in un incontro pubblico che ha preceduto sabato il partecipato momento conviviale della “Pastasciutta Antifascista” è stato l’ISRAL, l’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea in Provincia di Alessandria, presieduto da Mariano Santaniello.

Il libro di Gobetti compone una disamina sull’atteggiamento dell’Italia davanti alle pesanti responsabilità storiche di atrocità, violenze, repressioni e vere e proprie operazioni di sterminio commesse dal Bel Paese durante il Ventennio fascista – con una considerevole e spietata enfasi nei tragici anni del secondo conflitto mondiale, ma anche nel periodo antecedente alla dittatura. Lo storico fa riferimento, ad esempio, ai crimini perpetrati nelle colonie africane, in primis la lunga conquista della Libia dal 1911 agli anni ’30, completa di fucilazioni, impiccagioni e deportazioni con conseguente morte per stenti e malattie dei ribelli e delle popolazioni coinvolte nella guerriglia anti-italiana. Simili disumanità “strategiche” furono attuate dal Regno di Vittorio Emanuele III nel contesto di una logica di supremazia razziale accomunante pressoché tutte le potenze coloniali europee: la “cattiveria” degli occupanti sulle popolazioni occupate era, pertanto, un ammissibile strumento di repressione che entrava in gioco nelle situazioni dove lo richiedevano.

Con l’avvento del Fascismo il surplus violenza, componente strutturale della sua ideologia, sinonimo di forza e potere, divenne modalità operativa completamente giustificata e anzi lecita. L’esperienza coloniale – condotta alle estreme conseguenze dallo stato mussoliniano in Etiopia con gli oggi ignorati dalla divulgazione storica “convenzionale” massacri italiani di Gaia Zeret e di Debra Libanòs, servì come “modello” alla successiva furia omicida nei territori iugoslavi occupati durante il conflitto mondiale. Il regime annientava intere popolazioni che nascondevano nuclei partigiani e sottoponeva i rispettivi territori a rastrellamenti e deportazioni in campi di concentramento come quello tristemente famoso di Arbe, sull’isola omonima.

Eric Gobetti, capitolo per capitolo, introduce e approfondisce singolarmente i personaggi responsabili delle violenze italiane all’estero. Sotto la sua lente di ingrandimento passano, fra gli altri, i generali Rodolfo Graziani, Mario Roatta – quest’ultimo autore della Circolare 3C, un vero e proprio manuale, condensato in 200 pagine, di controguerriglia da attuarsi senza troppi scrupoli contro i civili dei territori occupati, Mario Robotti – il quale si lamentava che si “ammazzava troppo poco” e Taddeo Orlando, complice della fuga nella Spagna di Francisco Franco dello stesso Roatta. E ancora, Vincenzo Cujuli, Comandante ad Arbe, tumulato nel Sacrario dei Caduti Oltremare di Bari, ed Eugenio Mazzucchetti, a capo del campo somalo di Danane, dove morì il 50% degli internati. Ciononostante, Gobetti esamina pure l’eccezione di Umberto Graziani, giovane militare di stanza nel lager di Arbe che, pur cresciuto in un’epoca in cui la violenza era fondamento e cuore dell’azione politica, scelse di schierarsi a fianco dei partigiani di Tito.

Il profilo di un Italia dedita a massacri, uccisioni di massa, crimini di guerra, violazioni delle convenzioni internazionali e ripetute atrocità ancora oggi è difficilmente interiorizzato dalla coscienza nazionale. A differenza di Germania e Giappone, le cui disumanità dei rispettivi regimi sono state giudicate alle corti di Norimberga e Tokyo, il Bel Paese non ha accompagnato alla giustizia i suoi “carnefici” che, invece, sono stati in più casi riabilitati dalla società persino sotto forma di “scatti” di carriera. È il caso, ad esempio, di Taddeo Orlando, nominato Segretario Generale del Ministero della Difesa nel dopoguerra, o di Rodolfo Graziani, acclamato Presidente Onorario del Movimento Sociale Italiano dopo aver scontato quattro mesi di carcere rispetto ai 19 anni stabiliti dal tribunale militare.

Sono quindi il mancato tribunale sui crimini di guerra italiani e l’atteggiamento collettivo di “rifiuto” storico e di “auto-assoluzione” nazionale dalle proprie colpe che impedisce, ancora oggi, il pieno riconoscimento delle violenze tricolore del secolo trascorso, agli antipodi del luogo comune degli “italiani brava gente”. Al riguardo, Gobetti, critico dei vari tentativi di revisionismo storico e di manipolazione dei fatti realmente accaduti, ha citato la Legge n. 44 del 2022 che ha istituito la Giornata Nazionale della Memoria e del Sacrificio degli Alpini il 26 gennaio: in quella giornata, nel 1943 le Penne Nere uscirono dall’accerchiamento dell’Armata Rossa nella battaglia di Nikolaevka, sulla piana del Don, in un contesto però che vedeva gli eserciti italo-tedeschi dell’Asse invasori degli immensi territori sotto la bandiera sovietica.