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Intervista
Il mondo di Antonio De Luca e la sua visione di arte
Nato a Pompei, vive a Valenza

Antonio De Luca, classe 1977, artista poliedrico nato a Pompei, vive in Piemonte e, da diversi anni, a Valenza.
Il pittore si è distinto esponendo le sue creazioni non solo in tutt’Italia, ma anche in Europa. La prossima importante tappa per l’artista sarà l’uscita di un’opera che racconta uno spaccato ventennale della sua produzione, pubblicata da metilene edizioni.
Chi è Antonio De Luca e com’è giunto qui a Valenza?
Sono nato a Pompei ma - fin da piccolo - ho vissuto in Piemonte poiché i miei genitori hanno deciso di trasferirsi nel Vercellese. Ho iniziato con la pittura precocemente, quando il professor Claudio Pasero, allora mio docente presso il Liceo Artistico di Valenza, mi aiutò ad allestire la mia prima mostra in un negozio di dischi in Alessandria. La scomparsa di mio padre, quando avevo solamente otto anni, ha profondamente segnato la mia produzione, oltre che la mia persona. Invece, dal punto di vista professionale, posso dire di aver iniziato la mia carriera a Vercelli e di aver mosso i primi passi significativi collaborando con FederMobili. Invece, per quanto riguarda il mio ritorno a Valenza, devo dire che il primo a credere in me è stato Davide Pedrina, proprietario del mobilificio con sede nello storico palazzo seicentesco, che fra le altre cose ospita anche il mio studio. L’ultimo risvolto della mia presenza in questa città è l’Associazione Culturale Haip, con cui siamo riusciti a creare il progetto “Litio Arte Contemporanea”, allestendo una piccola esposizione, proprio qui nella città dell’oro, in Piazza XXXI Martiri.
Le tue opere spesso appaiono quasi “incompiute”: da dove nasce la tua scelta artistica di concentrarti sul corpo e sulle forme, anziché sui volti?
Un tratto artistico spesso nasce spontaneamente e solo poi, maturando e acquisendo una certa capacità di autoanalisi, lo stesso artista riesce forse a darsi spiegazioni. Nasce tutto probabilmente da un ricordo d’infanzia: spesso maneggiavo foto scattate maldestramente dai miei genitori, dove spesso i volti dei soggetti rimanevano tagliati e io mi divertivo a indovinare chi fossero. Spesso gli stessi protagonisti di questi scatti cercavano di riconoscersi. Da questo, insieme probabilmente all’immagine impressa nella mia mente dei resti della mia città natia, deformata e sommersa, ma sempre riconoscibile. Il tratto peculiare dei miei dipinti è ciò che non viene rappresentato, più di quel che invece è in bella vista.
Come concili il tuo lavoro di direttore artistico con la tua propria produzione?
All’inizio è stato complicato: mi guardavano con diffidenza perché portavo con me un’esperienza artistica personale più che accademica, ma alla fine ho trovato la mia dimensione e le gratificazioni non sono mancate. Ho poi scoperto, quasi per caso, una mia propensione allo scouting di giovani artisti che sto cercando di coltivare. La direzione artistica è ciò che mi permette anche di aiutarli a crescere e di valorizzare i loro lavori, lavoro che ora svolgo presso la galleria d’arte “Il Vicolo”, realtà esistente da più di 60 anni con sedi a Milano e a Genova.
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